18/09/2021 di Manuela Antonacci

L’Oms valuta il “gene editing”. Morresi: «Pericolo di svilire la dignità umana»

L’editing genomico è una tecnologia rivoluzionaria che funziona come un “correttore di bozze” del DNA, capace di correggere difetti genetici che vengono “riparati” modificandone il Dna limitatamente alle parti malfunzionanti. Stiamo parlando di un’innovazione tecnologica che potrebbe rivoluzionare – e portare alla deriva - l’etica e la bioetica e le vite di tutti, ma l’Oms ha pensato bene di lasciare la “porta aperta”. Una questione complessa e delicata di cui abbiamo voluto parlare con Assuntina Morresi, docente di Chimica Fisica presso il Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia, e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, organo di consulenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Quali i sono i problemi che questa rivoluzionaria tecnologia pone sul piano dell’etica?

«Bisogna distinguere fra questa tecnica applicata alla linea germinale - cioè i gameti geneticamente modificati e gli embrioni formati con questi gameti modificati oppure gli embrioni già formati e geneticamente modificati con questa tecnica - e la sua applicazione alle cellule somatiche, cioè a tutte le altre cellule del corpo. È evidente che la differenza è grande. Per il gene editing sulle cellule somatiche si pongono gli stessi problemi delle sperimentazioni scientifiche, specie delle terapie geniche: si tratta di cambiamenti del genoma ma non ereditabili. Per il gene editing sulle cellule germinali, invece, si tratta di intervenire sul DNA di una persona che nascerà, quindi parliamo di una modifica genetica che si trasmette alle generazioni future: la questione etica è radicalmente differente. E’ questo l’aspetto etico più importante per il gene editing, che ha comunque tanti livelli differenti di problematiche. Se ci fosse la possibilità di correggere il DNA difettoso di un embrione, di un feto o anche dei gameti, eliminando una patologia ereditaria, nessuno sarebbe contrario, me compresa. Ma concretamente anche solo per questo caso abbiamo di fronte una problematica con diversi livelli.  Un primo è dovuto all’insicurezza della tecnica di per sé, al momento, cioè ai possibili errori dovuti alla imprecisione della tecnica; un secondo è legato al fatto che bisogna capire quali sono le patologie da correggere e chi le individua. Per esempio potremmo essere d’accordo per il gene editing per patologie come la fibrosi cistica, in cui si conosciamo con certezza le parti del DNA che la determinano. Ma poi come si devono fare le sperimentazioni? Si sperimenta sugli embrioni umani in vitro? Per chi ritiene che gli embrioni umani hanno la stessa dignità delle persone nate, allora questa sperimentazione non può includere la loro distruzione o il loro uso come se fossero linee cellulari. Come si fa la sperimentazione degli embrioni senza distruggerli e senza danneggiarli? Tra l’altro c’è un ulteriore problema, a monte: è lecito sperimentare sugli embrioni in vitro? Perché questo significa formarli, formare embrioni in laboratorio appositamente per la ricerca oppure per la fecondazione assistita e usare quelli in “sovrannumero”. Quindi c’è una serie di dilemmi a catena, a cominciare dalla sperimentazione e eventuale manipolazione di embrioni umani; non dimentichiamo poi che queste manipolazioni si riflettono sulle generazioni successive, che andrebbero monitorate per veder cosa succede. Ammesso e non concesso che io riuscissi a manipolare geneticamente un embrione per curarlo, questo implica un esperimento in cui si fa nascere una persona, la si osserva per tutta la vita, e poi anche i discendenti, per verificare l’efficacia della tecnica.  E’ etico far nascere una persona a fini sperimentali? Secondo me no. Il gene editing è una tecnica potente e promettente per curare delle patologie, ma credo dobbiamo individuare delle strade diverse rispetto a quanto appena prospettato per la linea germinale».

 

 

 

Come tenere le redini di una simile rivoluzione su scala mondiale? L’Oms ha deciso di assumere un ruolo guida, in questo, che ne pensa?

«La globalizzazione scientifica rende impossibile un controllo reale dei laboratori del mondo. E’ difficile produrre regolamentazioni efficaci a livello sovranazionale. D’altra parte, però, non mi sembra accettabile rinunciare a priori a indicazioni etiche che siano di peso. Dobbiamo costruire uno strumento adeguato. Cosa è successo negli anni precedenti, per il gene editing? Che alcune importanti organizzazioni scientifiche, come le accademie delle scienze americana, cinese e inglese hanno organizzato convegni internazionali e hanno elaborato delle linee guida. Non è molto diverso dalla iniziativa dell’OMS. Per il gene editing possono solo essere fatte linee guida di riferimento, evidentemente non è possibile creare uno strumento sovranazionale vincolante in tutto il mondo. E’ giusto quindi che ci sia un organismo che dia delle indicazioni, purché sia realmente rappresentativo di tutti i saperi in gioco; non solo le conoscenze strettamente scientifiche ma anche l’approccio sociale, antropologico ecc. Dal mio punto di vista il problema dei report OMS sul gene editing non sta nel fatto l’OMS si sia presa la leadership in questo ambito (alla fine che lo faccia l’OMS o che lo faccia l’accademia delle scienze britannica insieme a quella cinese ecc. più o meno siamo lì). Il problema è che se il consesso che segue lo sviluppo della tecnica non è abbastanza rappresentativo, non solo degli orientamenti più significativi a riguardo ma dei diversi saperi coinvolti, ne viene fuori un parere monco. Se non si ha uno sguardo realmente globale su uno sviluppo scientifico o tecnologico, come governarlo?».

Come individuare il limite massimo da non superare, in questo campo?

«Il limite minimo basilare da non superare è il rispetto della vita umana, il non uccidere. Chi è convinto, come me, che la vita umana inizi col concepimento e che per questo non vada manipolata (e tanto meno distrutta) è contrario alla creazione di embrioni umani in vitro, ad esempio; dobbiamo però osservare che da tempo si fa tanta ricerca che manipola e distrugge embrioni umani, creati appositamente in laboratorio o “sovrannumerari”, da fecondazione assistita. Come scienziata devo poter essere libera di non fare ricerche che distruggono gli embrioni umani, e non devo essere penalizzata per questo. Adesso questa libertà c’è. D’altra parte non voglio rinunciare ad un confronto con chi questa ricerca invece la fa, ritengo necessario non smettere di farsi domande a riguardo. Credo che in questo ambito sarebbe utile fermarsi tutti, darsi un tempo in cui riflettere, vista l’importanza della posta in gioco: la possibilità di far nascere persone con un patrimonio genetico manipolato in laboratorio. Per il gene editing sulla linea germinale, infatti, all’inizio si era parlato di una moratoria, almeno come riconoscimento da parte di tutta la comunità scientifica che stiamo toccando qualcosa di importante, che può avere delle conseguenze irreversibili e pesanti per tutti. Adesso non se ne parla più; io invece penso che sarebbe ancora utile fermarsi a riflettere, prendere del tempo per pensarci e per continuare un confronto nel merito. Il rischio che io vedo in questi report dell’OMS è che se limitiamo tutto alla sicurezza sanitaria della tecnica, vuol dire che abbiamo deciso di andare avanti comunque, prima o poi, senza tenere conto delle altre conseguenze: questo io lo vedo pericoloso».

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