21/11/2012

Le prospettive del secondo mandato di Obama

La rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca, il 6 novembre, è una sconfitta grave per la difesa dei “princìpi non negoziabili”: vita, famiglia naturale fondata sul matrimonio monogamico eterosessuale, libertà di educazione e quella libertà religiosa che costituisce il primo dei diritti umani, sancito proprio dalla Costituzione federale degli Stati Uniti d’America come pietra angolare dell’intero l’edificio politico-istituzionale del Paese.
Nei quattro anni del primo mandato, Obama ha già infatti dato grande prova di ostilità ma soprattutto di capacità offensiva, come dimostra il lungo e aspro scontro che lo ha opposto alle Chiese e alle istituzioni religiose del suo Paese, anzitutto e soprattutto la Conferenza episcopale cattolica, e lo ha schierato apertamente dalla parte delle potenti e ricche lobby abortista e omosessualista.
Dai quattro anni del secondo mandato è dunque ovvio attendersi un inasprimento dei toni e un aumento dei danni. Obama non teme più infatti il giudizio di altre urne, non ha più la necessità di dissimulare gli aspetti più smaccatamente ideologici del proprio operato; e un presidente al secondo mandato che, come tutti i suoi predecessori, mira adesso solo al giudizio della storia, giocherà certamente il tutto per tutto allo scopo di lasciare in eredità al popolo americano l’intronizzazione più netta possibile dentro l’architettura giuridica del Paese di quelli che considera grandi progressi di civiltà.
Certo, Obama dovrà combattere pressoché quotidianamente con l’ostruzionismo che gli opporrà un Congresso dove forti sono la rappresentanza e persino il controllo esercitati da un personale politico mediamente assai più disponibile e anzi in diversi casi graniticamente favorevole alla tutela dei “princìpi non negoziabili”. Il Congresso federale è infatti l’organo legislativo, e per quanto vasti siano i poteri della Casa Bianca, che incarna l’esecutivo, non vi è nulla che, nei due anni che separano il Paese dalle elezioni del prossimo Congresso, nel 2014, l’Amministrazione Obama possa dare per scontato. La buona battaglia per la vita e per la piena dignità umana è, dunque, negli Stati Uniti, asserragliata nel “ridotto” congressuale.
Il voto americano del 6 novembre è ovviamente stato condizionato da pesanti preoccupazioni di natura economica. Obama ha vinto, con consensi assai ridotti rispetto al 2008, puntando sulla ristrutturazione economica del Paese e i suoi oppositori lo hanno sfidato apertamente proprio su quel piano. Ma la soluzione obamiana alla crisi generale ha dello spaventoso quando si pensa che la sua riforma dei costi e del modo di erogazione dell’assicurazione sanitaria ai cittadini americani  (il cosiddetto “Obamacare”) si è ridotta, dopo essere stata pesantemente modificata dai suoi oppositori dentro il Congresso, all’imposizione da parte dello Stato di polizze assicurative a carico dei datori di lavoro (tutti, comprese le Chiese e le istituzioni religiose, anzitutto la Chiesa Cattolica) in cui ogni tipo di controllo delle nascite (contraccezione, aborto, sterilizzazione) è garantito ai dipendenti come essenziale “cura medica” di base. L’economia è e resta una cosa serissima, e i pro-life  americani, che si preparano ad altri quatto anni di offese e di lesioni almeno in stile “Obamacare”, lo sanno sin troppo bene.

di Marco Respinti

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