09/05/2022 di Maria Rachele Ruiu

La storia: «Mio figlio come Charlie, ma lo Stato italiano è assente»

Chiara Paolini è la mamma di Emanuele, in arte “Mele”, famoso per i bellissimi quadri astratti dipinti con le mani e il corpo, nonostante le sue gravi condizioni di salute. Chiara ha testimoniato spesso la storia della sua famiglia anche e soprattutto a favore della vita, per la tutela delle persone e dei bambini più fragili, tanto da guadagnare per il suo impegno, anche internazionale, nella difesa della dignità e del diritto di salute dei fragili, il premio “Bene Comune”. Oggi Chiara si sta occupando di tutelare suo figlio.

Chiara, dopo esserti impegnata valorosamente per bimbi “non conosciuti”, oggi ti stai occupando di tutelare tuo figlio Mele. Vuoi raccontarci cosa sta accadendo?

«Grazie delle parole di stima. Nel 2019, dopo che la nostra Asl Toscana NordOvest non aveva risposto alle nostre richieste di adeguare l’assistenza infermieristica domiciliare di nostro figlio Mele ai suoi bisogni e ai nostri, come prevede la legge, ci siamo rivolti alla giustizia e a maggio 2021 abbiamo ottenuto il primo provvedimento del Tribunale di Lucca a favore del bimbo. Purtroppo l’Asl è rimasta di nuovo in silenzio e così siamo dovuti ricorrere di nuovo al Tribunale per l’adempimento di quanto era stato disposto dallo stesso Giudice. A marzo 2022 abbiamo ottenuto un ulteriore ordinanza, in accoglimento totale, che condannava l’Asl a fornire ad Emanuele almeno quanto già stabilito essere il "minimo" necessario»

Di cosa ha bisogno Mele e la vostra famiglia?

«Mele ha bisogni riabilitativi e tecnico-infermieristici di alta complessità assistenziale 24 ore su 24. Il giudice ha stabilito che  l’Asl fornisca questa assistenza come “minimo” per 12 ore sulle 24, 7 giorni su 7, “onde evitare il burn – out familiare e permettere ai genitori le attività lavorative ordinarie, la cura personale e quella degli altri figli”. Noi abbiamo bisogno di poter dormire la notte, per poter lavorare di giorno per provvedere alla nostra famiglia, andare dal medico, fare la spesa, portare gli altri due figli a scuola, etc. sapendo che lasciamo Emanuele in mani sicure, fidate e competenti, che sanno accudirlo, salvargli la vita e speriamo anche volergli un po’ bene».

Che cosa ha comportato invece la mancanza di questa assistenza minima?

«Intanto io ho dovuto lasciare temporaneamente il mio lavoro quasi trentennale di insegnante, e “reinventarmi” qui a casa, perché non riuscivo più a lavorare non dormendo la notte per accudire mio figlio, quindi sono senza stipendio, con tutte le conseguenze immaginabili in una situazione come la nostra. La fatica fisica, mentale, psicologica e lo stress di affrontare procedimenti giudiziari, la paura che mai questa situazione si risolverà e che noi non ce la faremo più ad aiutare nostro figlio è terribile. C'è amarezza e sconforto».

Ma questo prima non avveniva?

«Prima Mele aveva un servizio di assistenza infermieristica domiciliare sulle 24 ore, con sostituzione del caregiver, quindi noi potevamo andare a lavorare e fare la spesa, chiedere di dormire qualche notte a settimana, portare gli altri bambini dal pediatra, lasciando Mele in sicurezza a casa, assieme all’infermiera. L’infermiera lo accompagnava, quando la salute lo concedeva, anche a vedere le sue stesse mostre di pittura, oppure in ospedale, con me, per una visita. Insomma il servizio dell’Asl aveva permesso a Mele, anche grazie a quanto fatto da noi, di crescere e vivere le proprie esperienze, alla nostra famiglia di non sfracellarsi sotto il peso della cura».

E adesso la situazione come è?

«A prescindere dal numero insufficiente di ore di assistenza, dal 2019-20 la qualità del servizio è molto peggiorata. Nonostante il raccordo tra la famiglia e l’azienda sia stato definito “indispensabile” dal Giudice per definire le concrete modalità dell’assistenza, dovendo essere effettuata su nostro figlio anche per permettere a noi di avere un sollievo, (è ovvio che siamo noi genitori a sapere quali siano, ad esempio, i nostri orari di lavoro o se Mele ha una visita in ospedale etc), questo raccordo non viene promosso dall’Asl. Adesso abbiamo circa le stesse ore di servizio del 2009, ma senza alcuna flessibilità, ad esempio: l’orario è deciso dall’ASL, non sappiamo neppure quali operatori saranno presenti il giorno dopo, c’è continua turnazione, le infermiere non possono restare a casa da sole con Mele, non possono accompagnarlo assieme a me in ospedale per una visita, non stanno effettuando più assistenza la notte».

Come state?

«Siamo stufi, stanchi e sfiduciati. Speriamo sempre che ci si possa ricredere e che qualcuno riesca a fare qualcosa di buono per Mele e noi, si prenda a cuore la situazione del nostro bimbo e della sua famiglia, che conceda a tutti noi un po’ di serenità. Sono già passati 3 anni...speriamo di non sentirci troppo male nell’attesa...»

 

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