18/11/2019

La Luca Coscioni per l’utero in affitto. Non bastava l’eutanasia

Di nuovo l’utero in affitto. Di nuovo l’Associazione Luca Coscioni.

Accade in questi giorni, che l’associazione lancia sul suo sito internet una raccolta firme per mandare un appello al Parlamento, affinché legiferi sull’aberrante pratica dell’utero in affitto, chiamata anche Gpa, Gestazione per altri.

Come accade sempre, come anche quando viene chiesta l’eutanasia o il suicidio assistito, si fa riferimento a una non ben definita autodeterminazione, sottolineando quelli che per l’associazione sarebbero dei «problemi reali contro arbitrari proibizionismi».

Dopo le proposte presentate lo scorso giugno proprio dall’Associazione Luca Coscioni insieme con Ufficio Nuovi diritti della Cgil – dettaglio che creò non poco scalpore anche tra tante femministe italiane contrarie a questa pratica – arriva adesso questa raccolta firme. Un appello che, tra l’altro, viene presentato con la pubblicità dove una donna afferma «ho tutto per avere un figlio tranne l’utero», senza però pensare e quindi sottolineare al fatto che, oggi nel mondo, tantissime donne hanno il problema opposto: ovvero non hanno niente, soprattutto non hanno soldi, ma hanno solo l’utero, che mettono in vendita diventando delle vere e proprio schiave dell’era moderna.

L’associazione, inoltre, afferma chiaramente nella sua petizione di voler far dimenticare «l’espressione “utero in affitto”» e come già in passato si associa a questa pratica il termine di “solidale”, volendo utopisticamente escludere dalla proposta di legge «qualsiasi tipo di commercializzazione e/o sfruttamento del corpo femminile e dei minori». Ma anche in questo caso si guarda solo ad un aspetto dell’utero in affitto, quello edulcorato come “diritto” delle donne, ma non si guardano invece i diritti dei bambini a non essere strappato dal grembo materno appena nato, oppure il rischio – già sottolineato più volte – che le donne che affittano il proprio utero possano ripensarci e voler tenere il proprio bambino, così come il rischio – sempre concreto – che la nascita di un bambino malato possa creare un circolo vizioso e drammatico dove nessuno si voglia prendere cura del nascituro.

di Jacopo Coghe

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