17/04/2020

Blangiardo (Istat): «Coronavirus non è la Spagnola, ma attenzione alle fonti. Curare tutti si può ed è un principio non negoziabile»

L’informazione relativa alla pandemia di Coronavirus è sicuramente costellata da dati, numeri, trend epidemiologici e dettagli relativi ai contagi, ai guariti e alla mortalità della malattia. Tanti, forse troppi dati, che a volte deviano verso una cattiva informazione se non in una vera e propria disinformazione su ciò che sta accadendo e ciò che succederà. Pro Vita & Famiglia ha intervistato Gian Carlo Blangiardo, il presidente dell’Istat, chiarendo alcuni punti e dettagli e spiegando come leggere i dati e cosa i numeri ci rivelano sul presente e sul futuro della battaglia contro il Covid-19.

 

Presidente Blangiardo, uno dei temi più discussi con l’emergenza Coronavirus è quello dei dati. Sono tanti i numeri che ogni giorno sentiamo, che vengono divulgati per cercare di comprendere meglio questa pandemia. Ma quali sono i dati davvero importanti e a cui prestare maggior attenzione?

«Innanzitutto i dati importanti sono quelli che provengono da fonti attendibili. Siamo circondati da una marea di informazione, spesso di dubbia provenienza e che alcune volte dicono anche cose contraddittorie. Una volta chiarito che la fonte di un determinato dato è attendibile allora possiamo prestare maggior attenzione ovviamente a tutto ciò che ci può spiegare e chiarire quello che sta succedendo. Soprattutto poi è importante l’interpretazione dei dati, perché ci sono delle informazioni che hanno un rilievo importante se letti nel loro contesto. Per esempio siamo usciti come Istat con alcuni dati relativi alla mortalità con dei numeri estratti da un campione che non era rappresentativo dell’intera nazione, ma di alcuni comuni. Era ed è un dato vero, reale ed importante, ma ovviamente contestualizzato a quei territori dove l’evoluzione del virus ha avuto un determinato andamento. Alcuni però hanno letto questi dati come se fossero rappresentativi dell’intera Italia, mentre invece era una selezione voluta. Da questo si può capire come poi ci siano interpretazioni molto diverse e assolutamente sbagliate».

Si è parlato molto del numero dei decessi generali in Italia. Nei primi tre mesi del 2019 i morti sono stati di più rispetto ai primi tre mesi del 2020, nonostante il Coronavirus. E’ un dato positivo? Come leggerlo?

«Anche qui bisogna puntare molto sul discorso fatto prima sull’attendibilità delle fonti. L’Istat su questo punto di vista aggiorna settimanalmente il quadro della mortalità e amplia il più possibile le conoscenze in base alle informazioni disponibili sul virus stesso. Per quanto riguarda il confronto tra i due periodi bisogna anche in questo caso contestualizzare e accompagnare i dati con alcune precisazioni. Effettivamente sui primi tre mesi del 2020 scopriamo che la mortalità è pressoché identica o comunque non è schizzata alle stelle per via del Coronavirus. Il dato però è inficiato da quelli che sono stati i primi due mesi di questo anno che, quando ancora non si parlava di Covid-19, sono stati abbastanza clementi dal punto di vista delle morti rispetto a gennaio e febbraio dello scorso anno. Quindi l’effetto dei primi due mesi va ad abbassare sostanzialmente il totale del periodo gennaio-marzo 2020. Il confronto, invece, andrebbe fatto da quando la pandemia è esplosa e quindi analizzando i dati di marzo su marzo i risultati sono evidentemente molto diversi. La mortalità dunque è sicuramente molto più ampia anche se non generalizzata perché, fortunatamente, non ha toccato in modo omogeneo tutto il Paese ma le regioni più colpite dai contagi e in questo caso i dati sono davvero drammatici».

Si sostiene che in Italia il numero di morti per Coronavirus sia così elevato perché il nostro è “un paese vecchio”, è davvero così? Questa pandemia andrà ad incidere anche sul trend demografico?

«Siamo un Paese anziano, questo lo sapevamo già da prima, questo è un dato di fatto. La popolazione italiana con almeno 65 anni è di quasi 14 milioni di persone. A livello mondiale ci batte il Giappone in maniera netta e siamo sugli stessi livelli di paesi come Spagna o Germania. Nella battaglia contro il nuovo Coronavirus siamo davanti ad un nemico che, come possiamo vedere molto bene, tocca molto di più gli anziani, soprattutto perché la malattia e le morti si accompagnano a stati di malattie pregresse e croniche. La dimensione della mortalità, quindi, soprattutto nel nostro Paese è sicuramente importante ma non è tale da modificare la struttura demografica della popolazione. Fortunatamente non stiamo parlando dell’epidemia di Spagnola che fece un numero molto ma molto più ampio di morti. Ci eravamo illusi che ci sarebbe stato, nel corso degli anni, un aumento progressivo dell’aspettativa di vita. Le prossime statistiche, quelle del 2020, verosimilmente mostreranno che questo aumento non è andato avanti, ma questo non significa che c’è stato o ci sarà una diminuzione catastrofica della popolazione».

Un’ultima battuta, sul tema dei posti letto per far fronte a questa emergenza, alcuni Paesi rifiutano le cure per le persone troppo anziane. Gli ultimi dati italiani, dove i ricoveri, soprattutto in terapia intensiva, sono in costante diminuzione, è una notizia positiva per non fare allarmismo sulla mancanza di cure per tutti?

«Su questo aspetto bisogna innanzitutto dire che ci sono dei principi non negoziabili che sono quelli secondo i quali la vita è vita a qualunque età. Qualche giorno fa ho letto la notizia di un signore di circa 101 o 102 anni che è uscito indenne dalla malattia del nuovo coronavirus. È la dimostrazione che non deve esserci discriminazione da nessun punto di vista. Con una punta di orgoglio posso affermare che in Italia non si è registrata la situazione che invece c’è in altri Paesi di vera e propria selezione di chi curare. Il principio del “siamo tutti uguali” c’è e deve assolutamente rimanere. L’auspicio è poi quello che le strutture siano in grado di ospitare tutte le persone che necessitano di cure e i dati degli ultimi giorni vanno in modo concreto verso questa direzione. Questa è una notizia molto positiva perché già così si evita anche solamente di pensare a qualsiasi forma di discriminazione. In qualche Paese questa discriminazione c’è, non ci piace e non vogliamo assolutamente imitare queste scelte».

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