12/02/2019

Il presidente della Cassazione parla di diritti omosessuali

Alcuni giorni fa, in occasione della cerimonia d’apertura dell’anno giudiziario, il primo presidente della Cassazione, Giovanni Mammone, ha tenuto il tradizionale discorso di rito alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Un intervento, quello del dottor Mammone, che ha toccato vari ambiti, incluso uno estremamente delicato: quello delle “famiglie” arcobaleno. A questo proposito, l’illustre magistrato ha effettuato sui diritti civili delle considerazioni non esattamente rasserenanti per il popolo pro life. Anzi.

Infatti, il primo presidente della Cassazione ha sottolineato come, a suo dire, non vi siano preclusioni di sorta nella Costituzione per i genitori omosessuali. «L’orientamento sessuale, in sé», ha detto il magistrato, «non incide negativamente sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale». Ora, pur con tutto il dovuto rispetto, non si può che dissentire da questo passaggio. Non, si badi, per ragioni giuridiche, sulle quali i magistrati della suprema Corte di cassazione sono di insuperabile autorevolezza, ma per più generici motivi antropologici. A questo riguardo, annotiamo come sia già discutibile ricondurre il ruolo genitoriale a una formale idoneità, cosa fondamentale ma non sufficiente a rendere genitore chicchessia.

Infatti, il diritto a essere padre e madre non solo non sopraggiunge in base a determinate capacità ma è in realtà, a sua volta, riflesso di un altro diritto, che lo anticipa per importanza: quello del figlio – di ogni figlio – ad avere un padre e una madre. Prima di qualsivoglia considerazione sulla famiglia e la genitorialità, occorre pertanto ricordare chi sia il soggetto più debole in seno a un nucleo familiare, e cioè il minore. Minore i cui fondamentali diritti fondano, attenzione, sia i diritti sia, soprattutto, i doveri dei genitori. Ebbene, si dà però il caso che un figlio sia sempre e necessariamente figlio di un padre e una madre.

Ecco perché qualsivoglia considerazione sull’«orientamento sessuale in sé» risulti semplicemente fuori luogo, nel momento in cui si parla di famiglia: perché un figlio non può naturalmente nascere in una coppia omosessuale. Non la religione né i costumi ma la natura, con le sue leggi perenni, lo impedisce. È fondamentale riflettere su questo passaggio del primato dei diritti del figlio ad avere un padre e una madre, perché altrimenti perdiamo di vista il senso stesso della famiglia, che già san Tommaso suggestivamente definiva «utero spirituale» (Summa Theologiae, II, 2, q. 10, a. 12), proprio a definire una ideale continuità del ruolo protettivo della famiglia dal concepimento in poi.

L’auspicio, viste le tendenze giurisprudenziali di questi anni, è che non si perda coscienza di tutto questo e si continui a considerare la famiglia non già un prodotto di qualche cultura – e quindi, come tale, qualcosa suscettibile di trasformazioni -, bensì una struttura antropologica fondamentale, che ha proprio nel diritto del figlio a un padre e una madre uno dei suoi imprescindibili pilastri. Diversamente, se si perde di vista l’essenza della famiglia, non ne va “soltanto” dei diritti dei minori, ma anche del futuro stesso di un Occidente già flagellato dall’inverno demografico. Ragion per cui c’è da augurarsi che la comune riscoperta della natura familiare avvenga quanto prima. Del resto, per evitare confusione sarebbe già più che sufficiente rileggere bene la nostra Costituzione, che saggiamente definisce la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio». Chiaro, no?

Giuliano Guzzo

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