L’annuncio è di quelli che chiunque abbia a cuore determinati valori non avrebbe voluto commentare: quello della realizzazione, in laboratorio, dei primi embrioni sintetici. A darne notizia, senza far mistero di un entusiasmo, gli scienziati del Weizmann Institute in Israele, i quali hanno scoperto che le cellule staminali dei topi potrebbero essere ideali per autoassemblare in strutture simili a embrioni precoci con un tratto intestinale, l'inizio di un cervello e un cuore pulsante. Il professor Jacob Hanna, alla guida del team di ricerca, ha presentato questa come una svolta copernicana.
«Sorprendentemente», ha dichiarato, «dimostriamo che le cellule staminali embrionali generano embrioni sintetici interi, il che significa che questo include la placenta e il sacco vitellino che circondano l'embrione. Siamo davvero entusiasti di questo lavoro e delle sue implicazioni». Rispetto agli embrioni di topo naturale, gli embrioni sintetici sono risultati sovrapponibili per la quasi totalità – il 95% - alla struttura interna e ai profili genetici delle cellule. «In Israele e in molti altri paesi, come Stati Uniti e Regno Unito, è legale e abbiamo l'approvazione etica per farlo con cellule staminali pluripotenti indotte dall'uomo. Ciò fornisce un'alternativa etica e tecnica all'uso degli embrioni», ha aggiunto sempre Hanna.
Ora, pur non volendo smorzare certi entusiasmi, viene tuttavia naturale chiedersi dove mai possa condurre una simile scoperta. Già, perché se da un lato viene quasi da provare sollievo dinnanzi alla notizia di «un'alternativa etica e tecnica all'uso degli embrioni», dall’altro brindare alla realizzazione in laboratorio di embrioni sintetici – con la prospettiva che, un domani, non ci possa essere più bisogno di spermatozoi e ovaie – riesce molto più difficile. Non occorre infatti essere prevenuti né oscurantisi per leggere in simili annunci una tensione prometeica che poco ha, a ben vedere, di umano.
Da questo punto di vista, pare purtroppo definitivamente archiviato un principio che pure – specie dopo gli orrori compiuti dagli scienziati tedeschi nei lager - aveva a lungo ispirato la riflessione bioetica, vale a dire quello secondo cui non tutto ciò che è tecnicamente possibile è da considerarsi lecito. Pare in effetti di capire che il solo limite che alcuni scienziati al momento conoscono è ciò che «è legale» e di cui si abbia formale «approvazione etica». In pratica, tutto viene ridotto ad un mero semaforo istituzionale che può essere verde o rosso: nient’altro. E ciò è assai grave, non solo perché impedisce di valutare nel merito se realizzare embrioni sintetici sia o meno etico, ma anche perché toglie di mezzo un elemento fondamentale: quello delle conseguenze di determinate ricerche.
Nel momento in cui si annuncia una scoperta a fronte della quale «non ci sarà più bisogno di spermatozoi e ovaie», viene infatti spontaneo chiedersi: ma non si starà compiendo un passo pericoloso? Non c’è il rischio, con questo andazzo, di togliere di mezzo l’uomo? Come si fa ad escludere che ciò oggi è pionieristico possa domani, magari spinto da logiche di potere ed economiche, spopolare su vasta scala con conseguenze sociali e in definitiva antropologiche devastanti? Che simili quesiti pare non vengano adeguatamente considerati anche solo a livello mediatico, a ben vedere, è perfino più preoccupante dell’entusiasmo degli scienziati del Weizmann Institute in Israele. Perché dimostra che delle conseguenze sull’uomo di questa o quella scoperta, ormai, sembra importare davvero poco.