11/02/2023

Il Festival di Sanremo. O forse dovremmo dire Mal-Remo? La desolazione che si fa spettacolo

La diffusione di messaggi volgari, una campagna ideologica più o meno smaccata a favore del gender fluid, l’elogio di rapporti sessuali promiscui tra più persone e della pornografia nel testo di una canzone, una propaganda politica impropria e di parte a mezzo TV pubblica, lo sfoggio di un abito disegnato seguendo le forme del corpo illudendo e alludendo al nude look («perché — ha dichiarato Chiara Ferragni che lo indossava — il corpo di una donna non deve mai generare odio o vergogna»), sono altrettante tessere di un Sanremo in cui l’unico valore che resta è quello economico dei cachet per conduttori e ospiti. Cosicché un Festival che dovrebbe essere della canzone (fors’anche perché di estro ce n’è poco!) si rivela sempre più il palcoscenico della trasgressione ostentata e ossessivamente ricercata per fare audience.

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Né si capisce, se d’impegno si tratta, perché non dovrebbero trovare spazio temi come quello del rispetto per la persona, senza se e senza ma, al di là delle etichette che gli si possano appiccicare addosso, a partire da quelle del gender, o anche della promozione della vita, visto che l’Italia ha gli indici più bassi al mondo di nati per donna, o anche perché non si possa proporre, come ha fatto notare una lettrice del Giornale.it (del 9 febbraio, articolo a firma di Giuseppe De Lorenzo), che “Amadeus si presenti sul palco con una foto dei suoi genitali appiccicata proprio lì”, aggiungendo la domanda se questo “sarebbe di buon gusto”.

Si dice che Sanremo ha da sempre rappresentato il palcoscenico della società e del costume, riflettendo aspettative e sentimenti e preannunciando cambiamenti. Ma qui piuttosto denunciamo uno scollamento fra il palcoscenico e il Paese reale, fra una casta di teatranti e di influencer rimpinguati di lauti “compensi” e la gente che forse vorrebbe ascoltare delle canzoni per distrarsi un po’.

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Negli anni ’60/70 forse tutto questo poteva preannunciare una nuova qualità di vita, nuovi valori da inventare e una rivoluzione da venire (che fosse politica o del costume poco conta), ma oggi che siamo alquanto disincantati e senescenti, restano solo macerie. Esse non sono tanto quelle del tempo, ma dell’illusione che sopravvive ancora in quelle tendenze, nelle mode sempre più estenuate, in canzoni che dovrebbero essere impegnate, ma che non fanno che rilanciare luoghi comuni in salsa radical chic. Qui davvero ci sarebbe da dire: sotto il vestito niente!

Pertanto, Sanremo si fa megafono di una meontologia pervasiva, dell’ultima ideologia inneggiante al vuoto normativo, al trionfo del trans-umanesimo come del trans-gender, in una rincorsa della destrutturazione fine a se stessa che non edifica né la nuova morale né, tantomeno, la libertà, ma un capriccio senza limiti, senza regole, che non è tanto oltre la legge e i tabù, quanto al di fuori della realtà.

Una desolazione, insomma!

di Clemente Sparaco

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