18/06/2021 di Alessandro Fiore

Il ddl Zan tutela la pedofilia? La risposta definitiva

Hanno fatto discutere le recenti dichiarazioni dell’ex magistrato Carlo Nordio, durante un’audizione in Commissione Giustizia al Senato, a proposito delle espressioni ambigue contenute, secondo lui, nel ddl Zan: «Ci sono, in questo disegno di legge, dei termini e delle affermazioni troppo ambigue che si potrebbero ritorcere contro anche lo stesso legislatore. Per esempio il concetto di “orientamento sessuale” è troppo omnicomprensivo e paradossalmente anche chi va contro i pedofili potrebbe incorrere in sanzioni, poiché sappiamo che la pedofilia, per quanto aberrante e abominevole, è un orientamento sessuale [...]». In seguito a questa dichiarazione, anche Don Fortunato Di Noto, da decenni impegnato nella tutela dei bambini contro la pedofilia e la pedopornografia, ha chiesto pubblicamente che si faccia assoluta chiarezza sulla questione.

Sono giustificati questi timori? Oltre alle altre innumerevoli criticità che sono già state denunciate, il ddl Zan rischia addirittura di tutelare la pedofilia o altre c.d. “parafilie”? Anticipo subito che non sono totalmente d’accordo con l’analisi di Nordio su questo punto: il problema, a mio avviso, non sta tanto nella definizione di “orientamento sessuale”. Tuttavia, per le ragioni che adesso spiegherò, forse la realtà (per il momento solo testuale) del ddl Zan è persino peggiore di quella temuta da Nordio.

L’art. 2 del disegno di legge A.S. n. 2005 (conosciuto come “ddl Zan”) intende modificare l’art. 604 bis del codice penale, estendendo la disciplina ivi contemplata alla discriminazione e alla violenza commessa per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Precisamente, sarebbe punito (fino a un anno e sei mesi di reclusione o con la multa fino a 6000 euro) chi istiga alla discriminazione o commette atti di discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Sarebbe punito (da sei mesi a quattro anni di reclusione) chi istiga, commette o provoca alla violenza per i medesimi motivi. Inoltre, sarebbero vietate le organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per gli stessi motivi. (La pena è di sei mesi a quattro anni di reclusione per la partecipazione o assistenza alla predette organizzazioni; e di uno a sei anni per coloro che le promuovono o dirigono). L’art. 3 del ddl modifica l’art. 604 ter del Codice penale, introducendo i nuovi termini nel contesto della circostanza aggravante rafforzata.

I nuovi termini introdotti (sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere) sono espressamente definiti, “ai fini della presente legge”, dall’art. 1 del disegno di legge Zan.

La definizione di “orientamento sessuale” è, a mio avviso, quella che pone minori problemi di determinatezza. L’orientamento sessuale è definito «l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi». Comprenderebbe, par di capire, gli orientamenti eterosessuale, omosessuale (gay o lesbica) e bisessuale. La definizione è abbastanza simile a quella fornita da organismi quali la American Psychological Association, anche se quest’ultima propone un concetto più elastico[1]. Esiste una recente tendenza ad ampliare la categoria degli orientamenti sessuali per abbracciare una serie potenzialmente indefinita di orientamenti[2]: ad esempio, a livello istituzionale, il portale internet “Infotrans”, nato dalla collaborazione tra l'Istituto Superiore di Sanità e l’UNAR, sostiene che “Esistono tanti tipi di orientamento sessuale e tutti sono normali” e introduce l’orientamento della “pansessualità” (che sarebbe l’attrazione verso tutte le identità ed espressioni di genere, a prescindere dal sesso o dal genere). Il ddl Zan, invece, sembra accogliere una definizione di orientamento sessuale più restrittiva, escludendo la tutela dei “pansessuali”. Per tali ragioni, sembra difficile includere nel concetto di orientamento sessuale, per come definito dal ddl Zan, le c.d. parafilie, benché esse non siano esplicitamente escluse.

Non intendo affermare che l’introduzione dell’espressione “orientamento sessuale” negli articoli 604 bis e ter del codice penale non sia pericolosa e problematica (anzi!): ad esempio, punire la non meglio precisata “istigazione alla discriminazione” per motivi fondati sull’orientamento sessuale è in tensione con la libera manifestazione del pensiero, la libertà di religione e di associazione, ecc. Intendo soltanto evidenziare che altri termini sono, dal punto di vista concettuale, molto più ampi, ambigui e confusi. Mi riferisco alle definizioni di “genere” e di “identità di genere”.

Ai sensi del disegno di legge, «per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso». Questa definizione sembra erronea, troppo ampia, confusa e diversa dalle definizioni di “genere” che trovano già applicazione nell’ordinamento. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. “di Istanbul”), ratificata dall’Italia il 10/09/2013, afferma che con il termine “genere” ci si riferisce a “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini. La principale differenza con la definizione fornita dal disegno di legge è che, nella Convenzione di Istanbul, contano come “genere” le manifestazioni e gli attributi considerati conformi (“appropriati”) al sesso non anche quelli contrastanti; inoltre, la Convenzione sembra riferirsi a una concezione binaria della sessualità (“donne e uomini”), diversamente dal ddl Zan.

La definizione proposta nel ddl sembra implicare che qualunque singola manifestazione esteriore (conforme o contrastante ecc.) conti già come “genere”. Pertanto, una persona con la barba che porti la gonna presumibilmente corrisponderebbe a due generi diversi allo stesso tempo (uomo e donna). Questo contraddice la comprensione del “genere” come spesso definito nell’ambito dei gender studies o nei women studies, secondo i quali si riferirebbe - almeno implicitamente - a un insieme di ruoli, comportamenti, attributi considerati socialmente “femminili” o “maschili”[3]. La definizione di “genere” del ddl Zan corrisponde più propriamente a una “espressione di genere”.

Inoltre, vi è il problema se il “genere” si riferisca ad una concezione “binaria” della sessualità (come sembrerebbe essere nella convenzione di Istanbul) oppure ad una concezione non binaria o fluida. Il dubbio si traduce in un problema di indeterminatezza. Quest’ultima è relativa non solo al numero dei “generi” possibili ma anche al tipo di fenomeno che il “genere” descrive. Il disegno di legge sembra riferirsi ad una concezione non binaria e fluida, in quanto: non vi è un riferimento binario alle categorie di “uomo” e “donna”; le manifestazioni possono essere contrastanti con le aspettative sociali e l’identità di genere - definita in funzione del genere - è eminentemente soggettiva, indipendente dal percorso di transizione (art. 1, d).

La lista dei generi possibili (e, conseguentemente, delle identità di genere) è, peraltro, estremamente variegata, anche secondo fonti “autorevoli”: l’Istituto Superiore di Sanità e l’UNAR ci informano - attraverso il già menzionato portale istituzionale Infotrans.it - che esistono gli Agender, i Cisgender, i Demigender (che include i Demigirl / demiwoman / demifemale, nonché i Demiboy / demiguy / demiman / demimale), i Desister, i Gender questioning, i Genderfluid («persone la cui identità di genere fluttua tra i generi variando a seconda del momento o di altre circostanze»), i Genderqueer (che includono i bigender, i pangender, i genderless, i gender neutral, neutrois, agender… oppure possono incarnare un terzo genere), i Two Spirit, i GNC (genere non conforme) e i TGNC, i Pangender (che vivono «in una molteplicità di generi simultanea. Anche in questo caso può essere sperimentato un flusso/alternanza di genere»). Ci sono anche i “Bigender”, a proposito dei quali apprendiamo che «Il genere può essere stabile e la persona sente di appartenere a due generi contemporaneamente oppure il genere può essere fluido e la persona può sentirsi, per esempio, in alternanza, a volte donna e a volte uomo». Non mancano nemmeno i “Trigender” (come i Bigender, ma «le identità di genere con cui la persona si identifica in tal caso sono tre»)[4]. Ça va sans dire, tutti questi generi e identità di genere sarebbero assolutamente normali e naturali[5].

Si tenga presente che l’opinione dell’UNAR in materia è particolarmente importante nel contesto del ddl Zan, in quanto il disegno di legge (all’art. 8) affida a quest’ufficio il compito di elaborare con cadenza triennale una “strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. Questa “strategia” dovrebbe recare «la definizione degli obiettivi e l’individuazione di misure relative all’educazione e all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media [...]».

Ora proviamo a rispondere al quesito che ci siamo posti all’inizio: il ddl Zan tutela la pedofilia ed altre parafilie o addirittura le loro manifestazioni?

L’ampiezza e indeterminatezza della definizione di “genere” è tale che l’espressione qualunque manifestazione esteriore” potrebbe riferirsi anche a manifestazioni sessuali comunemente ritenute “perverse” o illecite. Non vi è nulla nel disegno di legge che escluda dalla definizione di “genere” o di “identità di genere” - e conseguentemente dalla tutela prevista negli articoli successivi - le manifestazioni esteriori perverse (legate a parafilie) o persino criminali, in quanto tali “contrastanti con le aspettative sociali connesse al sesso”. Ad esempio, si pensi alle manifestazioni legate a parafilie quali i disturbi esibizionistico, frotteuristico, pedofilico, sadistico o voyeuristico. Anche l’adescamento di ragazzini a scopo sessuale da parte di un maschio adulto potrebbe ben rientrare nella definizione di “manifestazione esteriore… contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”. Il termine “qualunque”, nei casi in cui è usato nei testi legislativi, ha appunto la funzione di ampliare al massimo la categoria di riferimento. L’espressione “connesse al sesso” è sufficientemente vaga da riferirsi a qualunque espressione della sessualità (per definizione in qualche modo “connessa al sesso”[6]). Includere altresì le manifestazioni “contrarie” alle aspettative sociali connesse al sesso significa includere sostanzialmente ogni attività, comportamento, atteggiamento o fatto relativo alla sessualità, anche se ripugnante, in quanto anche tale manifestazione è - necessariamente, in virtù del principio logico del “terzo escluso” - conforme oppure (verosimilmente) contrastante con quelle aspettative sociali.

La preoccupazione di escludere manifestazioni sessuali illecite dalle tutele antidiscriminazione - totalmente assente dal ddl Zan - era peraltro già presente nell’ordinamento. L’art. 8, d.lgs 251/2007 in tema di “motivi di persecuzione” al fine del riconoscimento dello status di rifugiato, dispone che «In funzione della situazione nel Paese d’origine, un particolare gruppo sociale può essere individuato in base alla caratteristica comune dell'orientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai sensi della legislazione italiana». Ora, nel disegno di legge in questione, benché le tendenze criminogene (o gli atti criminali) non sembrano poter rientrare nella definizione, più determinata, di “orientamento sessuale”, nulla esclude che le loro manifestazioni esteriori rientrino nell’ampia e indeterminata definizione di “genere”. Non è, forse, un caso che la diversa definizione di “genere” nella Convenzione di Istanbul riguardasse solo manifestazioni esteriori considerate socialmente appropriate per donne e uomini.

Si tenga presente che il Governo italiano, in sede di firma della Convenzione di Istanbul[7], riconobbe che il concetto di “genere” ivi contenuto era comunque problematico: l’Italia depositò presso il Consiglio d’Europa una nota verbale con la quale dichiarava che “applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali”. La dichiarazione era motivata dal fatto che la definizione di “genere” contenuta nella Convenzione (l’art. 3, lettera c) era ritenuta “troppo ampia e incerta e [presentava] profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano”. Adesso, invece, si vuole far credere che una definizione ben più ampia, indeterminata e controversa di “genere” possa essere posta a fondamento di una normativa penale.

Non si può correre ai ripari - come alcuni hanno cercato di fare - indicando altre definizioni di genere o di identità di genere più determinate, fornite dalla giurisprudenza o presupposte da altre normative (come quella della legge 164/1982). Infatti, è lo stesso ddl Zan a proporre espressamente le proprie definizioni, “ai fini della presente legge” (art. 1). Ciò significa che - stando alla lettera delle disposizioni proposte - se una persona dovesse essere trattata in modo sfavorevole (o meno favorevole di altri) per il motivo che stava “manifestando” una sua parafilia, potrebbe invocare la tutela antidiscriminatoria di cui al ddl Zan. Similmente, se taluno diffamasse o commettesse un altro reato contro una persona per il motivo che quest’ultima stava “manifestando” in modo perverso (o potenzialmente criminale) la sua sessualità, potrebbe applicarsi l’aggravante di cui all’art. 3 del disegno di legge.

Alcuni hanno cercato di sostenere che il ddl Zan non possa riferirsi a manifestazioni illecite di parafilie in quanto queste sono appunto riconosciute come illecite dall’ordinamento, e pertanto il ddl Zan non implicherebbe la loro “legalizzazione” soltanto in virtù di una definizione generica della fattispecie. Ad esempio, l’art. 609-quater c.p., che punisce gli atti sessuali con minorenne, e l’art. 414-bis c.p., che punisce l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia, escluderebbero – si sostiene – l’applicabilità del ddl Zan a pratiche di pedofilia. Si obietta, insomma, che un’interpretazione sistematica del disegno di legge nel contesto dell’intero ordinamento risolve la problematica sollevata in relazione alle manifestazioni “contrastanti con le aspettative sociali”.

Tuttavia, questa obiezione ignora completamente i termini della questione: il problema non è che il ddl Zan rischia di “legalizzare” comportamenti illeciti (non è ciò che ho sostenuto) ma che rischia di criminalizzare (o di punire più gravemente) la persona che reagisce a (o agisce a motivo di) manifestazioni di parafilia (lecite o illecite che siano). Di per sé, infatti, un’interpretazione sistematica non è incompatibile con l’incriminazione del comportamento di chi reagisce in un certo modo contro un atto sia pure illecito o addirittura delittuoso. Si pensi agli artt. 392 e 393 c.p. che puniscono l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, cioè un comportamento che può essere occasionato dall’illecito altrui. In generale, è chiaro che l’illecito di un soggetto non giustifica qualsiasi comportamento nei suoi confronti. Dunque, il criminale che compie atti sessuali illeciti sarebbe comunque punito, anche dopo l’eventuale approvazione del ddl Zan, ma rischia di essere punito anche chi “discrimina” o “istiga a discriminare” contro il perverso o il delinquente, e rischia di essere punito più gravemente chi commette un reato a motivo della manifestazione di una particolare parafilia altrui. Inoltre, si tenga a mente che la problematica di cui sopra include manifestazioni di parafilie che non sono necessariamente sanzionate penalmente dall’ordinamento.

Non credo che i proponenti del ddl Zan avessero inteso ricomprendere anche le manifestazioni di parafilie tra i fenomeni “tutelati” dal disegno di legge (o almeno lo voglio ben sperare). Tuttavia, è innegabile che i testi legislativi abbiano vita propria (scripta manent) e che, nel modo in cui sono interpretati e applicati dal diritto vivente, talvolta si discostano dalle originarie intenzioni del legislatore. Il problema testuale che ho illustrato, quindi, è l’ennesima prova di quanto il ddl Zan sia scritto male (basta rileggere l’art. 4 se dovesse venire qualche dubbio a riguardo) e di quanto possano essere imprevedibili le sue conseguenze.



 


[1] «Sexual orientation refers to an enduring pattern of emotional, romantic and/or sexual attractions to men, women or both sexes. Sexual orientation also refers to a person's sense of identity based on those attractions, related behaviors and membership in a community of others who share those attractions. Research over several decades has demonstrated that sexual orientation ranges along a continuum, from exclusive attraction to the other sex to exclusive attraction to the same sex. However, sexual orientation is usually discussed in terms of three categories: heterosexual (having emotional, romantic or sexual attractions to members of the other sex), gay/lesbian (having emotional, romantic or sexual attractions to members of one's own sex) and bisexual (having emotional, romantic or sexual attractions to both men and women» (Sexual Orientation & Homosexuality, reperibile all’indirizzo: https://www.apa.org/topics/lgbtq/orientation).

[2] L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’orientamento sessuale semplicemente come segue: «Sexual orientation refers to a person’s physical, romantic, and/or emotional attraction towards

other people. Sexual orientation is not related to gender identity», senza ulteriori specificazioni (si veda: WHO, FAQ on health and sexual diversity: The basics, reperibile all’indirizzo: https://www.who.int/gender-equity-rights/news/20160517-faq-on-health-and-sexual-diversity.pdf).

[3] Tale è il presupposto - almeno implicito - della definizione già menzionata della Convenzione di Istanbul. Infatti, il “genere” è sovente inteso come “ruolo di genere”, cioè appunto un «Insieme di comportamenti e attitudini che sono riconosciuti socialmente e culturalmente come propri dei maschi o delle femmine» (si veda il Glossario su Infotrans, https://www.infotrans.it/it-schede-8-glossario_transgender?k=R). Tuttavia, bisogna riconoscere che la definizione di genere è frequentemente imprecisa e confusa.

[4] Si veda la sezione “Glossario” di Infotrans, reperibile all’indirizzo: https://www.infotrans.it/it-schede-8-glossario_transgender.

[5] «Tutte le identità di genere sono naturali (normali)», Infotrans, pagina “Chi è una persona transgender”, reperibile all’indirizzo: https://www.infotrans.it/it-schede-2-persona_transgender.

[6] Secondo “Oxford Languages” la sessualità corrisponde appunto al complesso dei caratteri e dei fenomeni relativi al sesso; oppure esprime genericamente pertinenza al sesso.

[7] Si può consultare il sito della Camera dei deputati all’indirizzo: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/es0030inf.htm#no.

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