24/01/2023 di Giuliano Guzzo

I Maneskin e la banalizzazione del matrimonio

Una palese operazione di marketing, peraltro di dubbio gusto. Non si può che qualificare in questo modo l’ultima trovata della band dei Maneskin i quali hanno deciso di “sposarsi” tra loro per pubblicizzare l’uscita del nuovo album, «Rush». Il lieto evento, si fa per dire, si è tenuto a Roma, a Palazzo Brancaccio. I quattro componenti del gruppo rock - Damiano, Ethan, Thomas e Victoria - si sono presentati in abito bianco. Officiante d’eccezione per lo pseudorito nuziale: l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele.

Per rendere il «» della band romana ancor più realistico, sono stati invitati numerosi ospiti, quali il regista Paolo Sorrentino, i calciatori Paulo Dybala e Lorenzo Pellegrini, i cantanti Elisa e Fedez, la campionessa Federica Pellegrini e il cantautore Manuel Agnelli. Il significato ufficiale dell’evento – quello vero, come si è già detto, è puro marketing –è stato spiegato dagli stessi Maneskin: «È un rito pagano con il quale giuriamo fedeltà a noi stessi e ai nostri fan. È successo tutto velocemente: vogliamo celebrare la nostra musica e il nostro amore nel nome del rock». In realtà, i significati di una simile celebrazione – oltra a quello commerciale – sono altri.

Impossibile, infatti, non scorgere in questo «matrimonio musicale» anche l’ennesimo spot al gender fluid, sia per com’erano vestiti gli “sposi” – cioè con abiti maschili e femminili mescolati – sia per i calorosi baci, che sono stati anche omosessuali, ossia tra soggetti maschili. Da questo punto di vista, i Maneskin hanno effettivamente confezionato un piccolo capolavoro: hanno fatto parlare del loro nuovo album, hanno strizzato l’occhio alla narrazione gender fluid di cui sono, almeno a livello di immagine, consolidati testimonial e, infine, hanno fatto parlare anche di loro stessi.

E non ci sarebbe nulla di grave e nulla da commentare, in tutto ciò, se oltre all’omaggio all’ideologia gender – cosa senza dubbio seria, ma di fatto non nuova per la band romana – non vi fosse di mezzo una scimmiottatura all’istituto (sia laico che religioso) del matrimonio. Una realtà già sotto attacco sia istituzionale (si pensi alle introduzioni, in questi anni, di “divorzi brevi” e delle unioni civili, istituto di fatto concorrente), sia culturale, come mostrano i sistematici tentativi di gettare discredito, in particolare, sulle nozze religiose e cristiane. Che altro non sono, si sa, che la base a quella «famiglia tradizionale» - in realtà famiglia naturale – che costituisce un pilastro sociale fondamentale.

Non la teoria, infatti, ma l’esperienza, peraltro suffragata da abbondante letteratura scientifica, ci dicono che le coppie unite in matrimonio sono quelle in cui si rintracciano significativi benefici (psicologici, di salute fisica, perfino economici) per chi contrae l’unione, ma pure anche quelle che, in media, sono associate a più elevati tassi di natalità (tassi invece meno favoriti dalla costitutiva precarietà della convivenza), per non dimenticare, infine, l’aspetto più importante: i figli. L’avere mamma e papà sposati, se certo non garantisce perfetta felicità, comunque è un elemento che, sempre mediamente, favorisce uno sviluppo sano ed equilibrato dei bambini.

I riscontri della letteratura psicologica e sociologica, su tutto questo, sono abbondanti e convergenti, ma se li filano in pochi. Nell’era della comunicazione e, soprattutto, dell’immagine, un fotogramma del matrimonio farlocco di Damiano & company ha più potenza ed efficacia di cento trattati. Infinitamente di più. Può non piacere, e infatti al popolo pro family difficilmente piacerà, ma è un fatto. Un fatto cui però urge opporsi nel mondo più pacato e sereno, ricordando cioè che sì, il matrimonio e la famiglia, quella vera, sono e restano un’altra cosa. Decisamente.

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