04/03/2018

Gender a scuola: la Pitzorno esterrefatta dalla verità

Non potevamo non plaudire a Rodolfo De Mattei che sull’Osservatorio Gender ha risposto per le rime alla  scrittrice di romanzi per ragazzi, conosciuta anche come “profeta” degli studi di genere, Bianca Pitzorno, che si è stupita del fatto che alcuni genitori non gradissero che i suoi libri fossero letti a scuola ai loro figli.

«Esterrefatta« per ciò che scriveva De Mattei ormai quasi due anni fa, ha postato dei commemti su Facebook in cui parla della “cosiddetta teoria gender” (come se non esistesse), maltratta le donne casalinghe e inventa una bufala sui roghi degli omosessuali e sul finocchio.

Come dicevamo, De Mattei le risponde per le rime e spiega come alla scrittrice sarda  sia stato ascritto il “merito” di aver introdotto nei suoi libri per bambini, già negli anni Ottantale idee di Judith Butler, la pensatrice americana ideatrice della “Queer Theory”.

Ecco i post della Pitzorno che la dicono lunga su come sia auspicabile far leggere i suoi libri ai bambini a scuola

1 I libri della Pitzorno chi vuole li compra e li fa leggere ai propri figli. A scuola si leggano testi condivisibili da tutti gli utenti.Ma evidentemente la scrittrice neanche se ne rende conto.

«Posso dirvi che sono esterrefatta? Scopro solo oggi che una famigliola di Carpi, dopo aver ritirato il figlio da una scuola perché vi si insegnava, a loro dire, la cosiddetta ‘teoria gender’, hanno scoperto con orrore che nella nuova scuola si faceva leggere ai bambini ‘Ascolta il mio cuore’, e hanno chiesto che il libro fosse ritirato dalla biblioteca e MAI PIU’ LETTO. Troverete tutte le accuse al libro nell’articolo qua sotto. E le accuse a me, ‘questa personaggia’, tanto pericolosa da far sì che i genitori non mandino più i figli alla scuola pubblica ma li tengano in casa e formino, come nell’America più retriva, ‘scuole paterne’, per evitare loro di imbattersi in uno dei miei libri. Ora, poiché so che molt* de* visitator* di questa pagina mi hanno letto quando erano piccol*, vi chiederei una testimonianza personale. Vi ho spinto a diventare omosessuali? O vi ho semplicemente ‘spinto’ a rispettare tutti gli altri anche se non la pensano come voi e non hanno fatto le vostre stesse scelte?».

2 In un altro post la Pitzorno se la prende con le donne casalinghe:

«Grazie dei vostri molti commenti. Vorrei aggiungere due cose: -La prima, che ringrazio il Direttore, gli insegnanti e i bibliotecari della scuola primaria di Carpi. -La seconda è che comincio ad avere paura. Non per me, che ormai la mia vita l’ho vissuta, ma per chi è bambino oggi, a cominciare dal piccolino di Carpi, controllato ossessivamente dalla madre ‘casalinga’, spostato di scuola in scuola chissà con quali spiegazioni… (…)».

3 E  infine se ne inventa una “bella” sull’etimologia del termine “finocchio”:

«E poi, comunque, tutti i bambini, a prescindere di chi ameranno da adulti, che mondaccio li aspetta? Questo è solo un segnale. Staranno tornando i roghi? Sapete perchè li chiamavano (chiamano) ‘finocchi’? Perchè la carne bruciata mandava un cattivo odore, e allora si aggiungevano alle fascine mazzi e mazzi di finocchi per profumare l’aria».

A smentire la Pitzorno su questo punto, dice De Mattei, è infatti una persona al di sopra di ogni sospetto, lo storico gay Giovanni Dall’Orto, che nel suo documentato “checcabolario” spiega:

“Innanzitutto non si è finora riusciti a trovare attestazioni dell’uso di gettare finocchi sui roghi. La consultazione di documenti antichi non mi ha finora permesso di trovarne traccia (e se qualcuno riesce a trovare una qualsiasi attestazione è cortesemente pregato di comunicarmela, perché fin qui nessuno è stato in grado di farlo). (…) In secondo luogo resterebbe da spiegare perché, se l’ipotesi che lega finocchio ai roghi è corretta, le altre categorie di persone in passato condannate alla stessa pena non abbiano ricevuto lo stesso nomignolo, sul modello di quanto accaduto con buggerone. Perché le streghe non sono “finocchie”? (…) L’etimologia più corretta sarà insomma, e senza dubbi, quella che mette in relazione il significato odierno di finocchio con quello che la parola aveva nel medioevo, e cioè “persona dappoco, infida”, “uomo spregevole”. (…) A sua volta tale uso traslato della parola deriva probabilmente dall’uso di semi di finocchio per aromatizzare la carne e soprattutto la salsiccia. Il seme di finocchio ovviamente non aveva alcun valore, al paragone con le costosissime spezie che venivano dall’Oriente. Si confronti il toscano “finocchi!” per “Cose da nulla!” nonché il modo di dire “essere come il finocchio nella salsiccia”, ossia: “non valere nulla. Quindi: da “cosa o persona di nessun valore”, la parola “finocchio” è passata a indicare “uomo spregevole”, che non vale nulla, che non merita nessuna stima, e poi, in senso più restrittivo, “uomo spregevole in quanto si dà alla sodomia passiva”. Tutto qui”.

Prosegue De Mattei:

A scorrere la biografia della Piztzorno ci si accorge che il titolo affibbiatole di profeta o profetessa, che dir si voglia, del gender non è campato in aria. La scrittrice di origini sarde con il suo romanzo del 1979, intitolato “Extraterrestre alla pari”, è stata infatti una precursora dell’odierna teoria del gender, raccontando la storia di una coppia che adotta un piccolo extraterrestre, proveniente da un pianeta in cui il sesso viene definito solo in tarda adolescenza e scegliendo di utilizzare all’interno del suo libro l’asterisco per “neutralizzare” il sesso dei propri personaggi.
Intervistata riguardo l’originale trama del suo romanzo la Piztzorno ha spiegato come la sua intenzione fosse stata quella di denunciare “l’oppressione educativa” che i genitori esercitano all’interno della famiglia nei confronti dei propri figli:

«Ho pensato che molti genitori, anche i più aperti, esercitano una forzatura sui loro figli, in modo del tutto involontario. Ho riflettuto su come poter evitare che questo accadesse. E così mi sono inventata questa storia. Non è che il sesso non c’è , solo si evidenzia più tardi. Perciò l’educazione non viene per nulla influenzata da questo fattore. Una cosa che fa letteralmente impazzire i terrestri, che cercano ogni escamotage per dare una definizione a questa piccola persona. È pazzesco, se ci si pensa. Quando una donna aspetta un bambino, una delle prime domande che le vengono rivolte è quale sia il sesso del piccolo e non il suo stato di salute».

Nel corso degli anni, grazie alla sua “letteratura impegnata”, la Pitzorno è divenuta una vera e propria icona della propaganda LGBT+, presenziando eventi e conferenze a tema. Nel febbraio 2017 il Comitato LGBT Brescia Pride l’ha invitata a parlare sul tema “Donne ribelli: da Prisca ad Ada Bertrand“, evidenziando nella locandina come il suo libro del 1979 fosse diventato “un cult nei corsi di formazione sull’identità di genere e l’utilizzo dell’asterisco per il genere neuro precorre i tempi di almeno un decennio (… )”. Ad organizzare l’incontro è stata Patrizia Colosio, tra le fondatrici dell’associazione lesbica Pianeta Viola e autentica fan della Pitzorno, tanto da dedicarle una relazione, intitolata “Da Bianca Pitzorno a Judith Butler. L’identità di genere e la letteratura per l’infanzia e i giovani adulti”, secondo cui, la scrittrice sarda avrebbe avuto il “merito” aver introdotto nei suoi libri per bambini, già negli anni Ottanta, «l’idea di Judith Butler, la pensatrice americana ideatrice della “Queer Theory”».



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