30/06/2016

“Famiglia” omoparentale e depressione: vittime invisibili

Le adozioni gay (o lesbiche) sono il prossimo traguardo della macchina nichilista e mortifera che sta portando la nostra società verso la dissoluzione, attraverso la consacrazione della “famiglia” omoparentale.

Qui in Italia ci stanno lavorando alacremente: i giudici – che ormai non sono più soggetti alla legge, come dovrebbe essere in una democrazia fondata sulla separazione dei poteri – fanno da apripista, mentre i soliti soggetti “sinistri” che albergano nel nostro Parlamento coroneranno presto o tardi la loro riforma della legge sulle adozioni.

Eppure, abbiamo già visto, i dati che rilevano il disagio e il malessere per i ragazzini che crescono in una “famiglia” arcobaleno, omoparentale, insomma le vittime delle adozioni gay sono stati pubblicati da tempo (vedere ad esempio qui, qui e qui), e anche molto recentemente, qui in Italia.

Oggi, se ne possono aggiungere degli altri, che si possono leggere sulla rivista Depression Research and Treatment (Volume 2016 (2016), Article ID 2410392, 8 pages.

Uno degli aspetti più interessanti di questo nuovo studio è che valuta la questione in senso longitudinale durante l’arco di un lungo periodo di tempo, basandosi sul Longitudinal Study of Adolescent Health, una ricerca statunitense condotta a livello nazionale dal Governo USA, che è uno delle più impressionanti, approfondite e costose attività di ricerca di indagine ancora in corso.

Il professor Sullins, che ha coordinato i lavori, ha scoperto che  quando i bambini  cresciuti in una “famiglia” arcobaleno raggiungono un’età compresa tra i 24 e tra i 32 anni, l’incidenza della depressione aumenta in  modo esponenziale.

Più della metà (il 51%) dei  giovani adulti cresciuti con due genitori omosessuali diventano depressi, mentre la depressione di giovani adulti cresciuti in una famiglia naturale diminuisce di due punti percentuali (dal 22 al 20%).

Altri dati sono interessanti: l’obesità (31 per cento per chi cresce in famiglia naturale, 72 % per chi cresce con coppie gay), per esempio.

Inoltre, in una “famiglia” omoparentale si riscontrano statisticamente un numero maggiore di episodi di violenza domestica.

Il prof. Regnerus, commentando i risultati di Sullins, rileva che – come ogni studio statistico – anche su questo si può sollevare qualche critica, visto il campione piuttosto limitato di soggetti adulti cresciuti da coppie omosessuali che aveva a disposizione nei dati nazionali riportati dall’ Health Information Survey.

Ma Sullins ha avuto il merito di non considerare i bambini che , pure essendo cresciuti con due omosessuali, hanno comunque avuto la presenza del genitore biologico dell’altro sesso, che intratteneva rapporti con lui. Quindi restringe il campo di indagine ai “figli” dell’utero in affitto e della fecondazione artificiale per le lesbiche: quelli deprivati artatamente di una delle sue figure genitoriali.

Torneremo a parlare in modo più analitico e tecnico delle conclusioni di questo studio.

Ma è ovvio che quando si tratta di dati, sondaggi e medie, si analizzano comunque delle tendenze, delle “maggioranze”, che non corrispondono a verità assolute e sistematiche.

A noi le statistiche interessano fino ad un certo punto. Anzi accoglierle come dati “normativi” non è affatto giusto, nonostante vada molto di moda.

Il dato normativo ce l’ha innanzitutto e soprattutto la legge naturale, e guardando ad essa è ovvio che le chiacchiere stanno a zero: i bambini hanno bisogno della mamma e del papà, cioè di quella che è davvero una famiglia.

Redazione


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