12/05/2022 di Giuliano Guzzo

Europa. È caos sull’utero in affitto

Cosa sta succedendo in Europa con l’utero in affitto? Attenzione, non è una domanda polemica, affatto. Si tratta però di capire che cosa, su questo delicatissimo tema, stia bollendo effettivamente in pentola a Bruxelles dove, di fatto, sembra stia accadendo un po’ tutto e il contrario di tutto.

Ebbene sì, perché non più tardi di qualche giorno fa il Parlamento Europeo ha preso una posizione molto netta al riguardo: quella di condanna dell’utero in affitto quale pratica «inaccettabile», che «costituisce una violazione della dignità umana e dei diritti umani».

Approvando la “Risoluzione del 5 maggio 2022 sull'impatto della guerra contro l'Ucraina sulle donne”, infatti, l’Europarlamento - ai punti n. 12, 13 e 14 - ha condannato apertamente, e senza giri di parole, «la pratica della maternità surrogata, che può esporre allo sfruttamento le donne di tutto il mondo, in particolare quelle più povere e in situazioni di vulnerabilità». E queste, ovviamente, sono considerazioni condivisibili, anzi sacrosante. Però, purtroppo, c’è un però.

Il riferimento è alla risposta appena fornita all’interrogazione – presentata dall'eurodeputata Simona Baldassarre e sottoscritta tra gli altri dall’onorevole Alessandra Basso, della Lega – con la quale si chiedeva alla Commissione, prendendo spunto dalla fiera dell'utero in affitto "Men Having Babies", tenutasi a Bruxelles il 6 e il 7 novembre scorsi, se si intendesse o meno «prendere posizione sul tema della maternità surrogata come grave violazione dei diritti umani». Ebbene, la replica della Commissione, datata 11 maggio, appare a dir poco spiazzante e contraddittoria se pensiamo, appunto, a quanto detto dall’Europarlamento proprio lo scorso 5 maggio.

Infatti, vi si legge che «il trattato sull'Unione europea e il trattato sul funzionamento dell'Unione europea non conferiscono all'Unione la competenza di adottare norme di armonizzazione dei diritti sostanziali nazionali in materia di procreazione assistita, inclusa la maternità surrogata». La risposta continua inoltre dicendo che, «oltre a questioni di diritto sostanziale, la maternità surrogata solleva anche problemi di diritto internazionale privato». E qui c’è la prima contraddizione. Con la Risoluzione sopracitata, infatti, il Parlamento Europeo affermava e chiedeva agli Stati Membri di “introdurre misure vincolanti volte a contrastare la maternità surrogata”.

Le contraddizioni, però, continuano. La Commissione, infatti, scrive anche: «La Commissione sta attualmente svolgendo lavori preparatori in vista di un'iniziativa sul riconoscimento della genitorialità tra gli Stati membri che potrebbe includere anche questioni di diritto internazionale privato relative alla maternità surrogata». Chiaro? Il Parlamento Europeo afferma che l’utero in affitto è una pratica «inaccettabile», che «costituisce una violazione della dignità umana e dei diritti umani», mentre Commissione dice l’esatto contrario, e cioè che sta lavorando per un riconoscimento di tale pratica.

Ora, se non fosse una materia tremendamente seria – e dalle implicazioni devastanti -, susciterebbe quasi una risata, questa macroscopica contraddizione che, a livello europeo, si osserva oggi sulla maternità surrogata, pratica da una parte bocciata e dall’altra promossa, da un lato condannata e dall’altro oggetto di iniziative di promozione e riconoscimento. Per carità, non è certo una novità che a Bruxelles abbiano le idee confuse. Succede ed è successo già con molti temi e in svariate occasioni, che non serve star qui ora a ricordare.

Oltre alla contraddizione in sé, però, è altrettanto grave che in seno alle massime istituzioni europee – come appunto la Commissione -, si possa fare strada un atteggiamento di favore verso l’utero in affitto e tale pericolo non può essere preso sottogamba. Anzi, deve impegnare il mondo pro life a restare più vigile che mai, senza concedere neppure il minimo spazio a ideologie e pratiche, com’è in questo caso, che con l’uomo e i diritti – quelli veri, s’intende - non hanno nulla, ma proprio nulla a che spartire.

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