05/03/2021 di Manuela Antonacci

Embrione impiantato senza il consenso dell’ex marito. Fusaro: «Così si arriva ad annichilire le relazioni umane»

Una vicenda incredibile, dal punto di vista sia etico che giudiziario, è quella incentrata sul caso della donna alla quale è stato riconosciuto il diritto di farsi impiantare un embrione concepito con il consenso dell’ex marito, nonostante la successiva contrarietà di quest’ultimo, in seguito alla loro separazione.

Una sentenza che rappresenta la spia di una vera e propria deriva etica e bioetica incontro alla quale sta andando la nostra società, sempre più orientata verso una visione antropologica disumanizzante e utilitaristica, dal punto di vista relazionale. Pro Vita & Famiglia, a tal proposito, a intervistato il filosofo e saggista Diego Fusaro.

 

Professore, cosa ne pensa dell’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere? La stupisce?

«Mi pare evidente che la giusta battaglia per opporsi alle violenze sulle donne, per riconoscere i diritti delle donne, sia sfuggita di mano, trapassando in una battaglia contro i diritti dell’uomo e a favore della violenza sull’uomo. Mi pare che questo sia l’orizzonte di senso. Allora, se per femminismo intendiamo il sacrosanto riconoscimento dei diritti della donna, non possiamo non essere femministi tutti. Ma se per femminismo intendiamo semplicemente un maschilismo al femminile, ovvero l’idea che la donna sia superiore, possa fare violenza all’uomo, allora siamo punto e a capo: siamo ancora nell’ottica del maschilismo, rovesciata di segno, però. E  un cubo rovesciato resta sempre un cubo. Battersi per il riconoscimento dei diritti della donna, significa riconoscere l’uguale dignità tra uomo e donna e non la supremazia di uno o dell’altra».

L’ordinanza in questione si è basata sul fatto che al momento del congelamento dell’embrione, il consenso del padre effettivamente c’era stato e il successivo ritiro di tale consenso non sarebbe stato tutelato dalla legge. Ma sul piano morale come la mettiamo?

«E’ un ragionamento che non fila nemmeno sul piano giuridico: perché così si riconosce che uno non possa cambiare idea, in questo modo e non si tiene conto nemmeno del fatto che non esiste più il nucleo familiare, in quel caso, perché si sono divisi i due. Il fatto che ci siano delle potenzialità tecniche da usare vuol dire che, se vogliamo usarle, vadano usate fino in fondo. E cioè la possibilità di non fare qualcosa che pure potrebbe essere fatto, deve accompagnarsi ad una riflessione morale, giuridica aggiuntiva. Se lui ha detto di no, si sta violando il suo diritto. Se non c’è il consenso di entrambi, c’è una parte che viene offesa, evidentemente ed è quella dell’uomo, in questo caso. E’ proprio come se dicesse no, non bisognerebbe farlo. Ci  vuole il consenso bilaterale, altrimenti riconoscere solo il consenso di una delle due parti significa sancire l’inferiorità dell’altra.

In questo caso si è assolutizzato il «diritto» del singolo a diventare genitore: anche in opposizione al partner. Vogliamo analizzare la vicenda dal punto di vista prettamente relazionale: due tipi di relazione entrano in gioco in questa vicenda ovvero il rapporto genitore – figlio (laddove la procreazione non deriva più da un atto d’amore ma è forzatamente ottenuta in laboratorio senza nemmeno il consenso dell’altro) e il rapporto uomo-donna (in questo caso basato su una sorta di utilitarismo sfacciato, da parte della donna). C’è una cosificazione delle relazioni umane alla base di tutto ciò?

«Sì, è ciò che ho sostenuto anche in un libro di qualche anno fa “Nuovo ordine erotico, elogio dell’amore e della famiglia”: una delle tesi del libro è proprio che il nuovo ordine erotico che è poi il nuovo ordine mondiale sul piano dei sentimenti, degli affetti e delle relazioni, ha come base proprio la dissoluzione della relazione amorosa che non è più l’ “essere per l’altro”, ma si trasforma nella figura dell’utilitarismo erotico in cui si usa l’altro come strumento, in una logica erotico del do ut des, di matrice utilitaristica. E’ la mercificazione della vita sentimentale».

Ha destato stupore la riflessione di alcuni bioeticisti, in merito, secondo i quali, una volta che una vita è stata «creata» in laboratorio sarebbe crudele lasciarla lì per l’eternità. Non si sta scivolando verso una deriva etica quasi grottesca, anche nel campo della bioetica, che consiste semplicemente nel prendere atto di ciò che accade, senza preoccuparsi di prevenirlo? E poi, in questo caso, disordine non chiamerebbe disordine...?

«E’ curioso come gli stessi che rivendichino in questi casi il diritto alla vita, sono gli stessi che propugnano, non il diritto all’aborto ma addirittura l’elogio dell’aborto, in molti casi. E’ un paradosso dei nostri tempi, questo.  La vita se si difende, si difende sempre. E  poi, che cosìè vita? E’ una domanda che andrebbe affrontata, è una domanda della filosofia e della bioetica».

Peraltro questo potrebbe costituire un incredibile precedente, per tutti quegli uomini, che, trovandosi nella stessa situazione dell’ex marito di questa donna, rischieranno di diventare padri “de iure”, anche contro la loro stessa volontà, è d’accordo?

«Sì certo, si apre uno scenario pessimo, orribile».

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