15/07/2015

Dati Istat sulla popolazione: è ora di preoccuparsi seriamente

Ogni anno l’Istat pubblica l’Annuario Statistico Italiano, che si potrebbe considerare una “radiografia” dello stato di salute della nostra nazione sotto vari ambiti: il territorio, l’ambiente, la popolazione, la sanità, la giustizia, il lavoro, il tempo libero… e via di questo passo.

Ebbene, scorrendo i dati relativi al 2014, non vi è molto da sorridere.

Senza entrare nei dettagli dei vari aspetti, ma citando solamente i dati più macroscopici, proviamo qui a fornire una chiave di lettura. Partendo dal presupposto che la famiglia è il nucleo fondamentale della società, prendiamo in considerazione la situazione relativa al numero di matrimoni, nonché al tasso di separazioni e di divorzi.

“Per quanto riguarda – scrive l’Istat – la nuzialità, nel 2012 si verifica, dopo anni di trend decrescente, un lieve aumento dei matrimoni: 207.138, contro i 204.830 del 2011, con un quoziente di nuzialità che passa dal 3,4 al 3,5 per mille. [...] Prendendo in considerazione il rito, il matrimonio religioso, nonostante la tendenza generale alla diminuzione, continua a essere quello preferito dagli sposi, nel 2012 sono stati celebrati con rito religioso il 59,0 per cento dei matrimoni”(p. 74). In ogni caso, “a livello internazionale l’Italia risulta essere uno dei paesi con la nuzialità più bassa; sono solo la Bulgaria (2,9 per mille), il Portogallo (3,3 per mille), la Slovenia e il Lussemburgo (3,4 per mille) i paesi ad avere un quoziente di nuzialità inferiore a quello italiano”.

L’Istat dichiara in lieve miglioramento anche i dati relativi all’instabilità coniugale, anche se i numeri andrebbero posti in relazione al numero di matrimoni, e quindi interpretati: “L’instabilità coniugale è in leggera contrazione; le separazioni legali passano da 88.797 nel 2011 a 88.288 nel 2012, mentre i divorzi da 53.806 scendono a 51.319. Le separazioni consensuali, come negli anni precedenti, sono in netta prevalenza rispetto a quelle giudiziali, e rappresentano l’85,4 per cento circa del totale” (p.74).

Direttamente conseguente allo stato di crisi in cui versa il matrimonio è il tasso di natalità, e quindi il numero medio di figli per famiglia. Per quanto riguarda le nuove nascite, il 2014 è stato l’anno peggiore dall’Unità d’Italia: nell’arco di dodici mesi sono state registrate solamente 509 mila nascite, cinquemila in meno rispetto al 2013, mentre i decessi sono stati 597 mila. Il numero medio di figli per donna è rimasto costante rispetto all’anno precedente ed è pari a 1,39, mentre l’età media al parto è salita a 31,5 anni.

Al 9 ottobre 2011, data di riferimento del XV Censimento della popolazione e delle abitazioni, le famiglie erano 24.611.766 e il numero medio di componenti in famiglia era pari a 2,4 unità (nel 1971 una famiglia media era composta da 3,3 componenti). Rispetto al 1971, quando le famiglie numerose (cinque o più componenti) coprivano il 21,5 per cento, oggi costituiscono un misero 5,7 per cento del totale.Bludental “Al contrario, nello stesso arco di tempo si evidenzia un regolare incremento delle famiglie unipersonali che passano dal 12,9 per cento al 31,2 per cento, vale a dire che quasi una famiglia su tre risulta composta da un’unica persona, come conseguenza di profondi mutamenti demografici e sociali, primo fra tutti il progressivo invecchiamento della popolazione, l’aumento delle separazioni e dei divorzi, nonché l’arrivo di cittadini stranieri che, almeno nelle fasi iniziali, vivono in famiglie unipersonali” (p. 68).

“Queste dinamiche – sintetizza l’Istat – rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo: il rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e quella con meno di 15 anni raggiunge il valore di 151,4 per cento, in Europa secondo solo al valore della Germania (160,0)”.

Provando a sintetizzare, dunque, in Italia sono sempre meno le persone che decidono di sposarsi, e se lo fanno è a un’età sempre più avanzata. Questa dato, che già di per sé incide sfavorevolmente sul tasso di fertilità, va poi unito all’alto tasso di instabilità delle unioni coniugali, nonché alle attuali difficoltà di carattere socio-economico: questo mix di fattori concorre, in maniera più o meno diretta, a una diminuzione delle nascite.

Questo stato di cose genera a catena diversi fenomeni, tra i quali l’aumento dei figli unici, l’invecchiamento della popolazione, ma anche … la crisi economica! Sì perché – come sottolineato da diversi economisti e da noi ribadito in un recente articolola riduzione del ‘capitale umano’ genera povertà.

La soluzione, quindi? Quella ripetuta fin troppe volte, ma sinora caduta inascoltata: ritornare a puntare sulla famiglia fondata sull’unione stabile e feconda tra un uomo e una donna!

Giulia Tanel

DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’

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