23/09/2020 di Manuela Antonacci

Cure palliative. A che punto siamo, prospettive ed emergenze. L’intervista a Stefania Bastianello

Stefania Bastianello è la presidente della Federazione Cure Palliative, una fondazione con 81 soci in tutta Italia e circa 6mila volontari che affiancano i malati e le loro famiglie e che inoltre organizzano attività di raccolta fondi. Oltre ad aver conseguito una laurea in Ingegneria elettronica, Biastianello è counselor certificato, lavora da 10 anni in AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) come responsabile della Formazione e del Centro di Ascolto e da anni è impegnata anche nella promozione dello sviluppo delle Cure Palliative, appunto. A lei, noi di Pro Vita & Famiglia abbiamo rivolto alcune domande.

 

A che punto sono, oggi, le cure palliative e perché continua ad esserci un allarme sul fatto che non si faccia abbastanza?

«Siamo a 10 anni dalla promulgazione della legge 38. Sono stati emanati tutti i decreti attuativi tranne quello sulle tariffe a livello nazionale. L’ultimo decreto emanato riguarda la formazione omogenea dei volontari, di questo la nostra Federazione è molto orgogliosa perché contribuì alla stesura del testo. Noi ci occupiamo fondamentalmente di volontariato, di enti di terzo settore. Quindi dal punto di vista formale direi che ci siamo: quasi tutti gli atti normativi sono stati definiti. Quello che invece manca è una reale diffusione delle cure palliative sul territorio nazionale perché sono estremamente frammentate, sono applicati modelli organizzativi differenti da regione a ragione. Ma la maggior parte dei cittadini non conosce le cure palliative: due cittadini su tre non conoscono il loro diritto di accesso alle cure palliative. Spesso i centri di cura tardano moltissimo ad inviare le persone alle cure palliative: c’è ancora una dicotomia curativo-palliativo che invece nell’anno 2020 dovrebbe essere ampiamente superata. E quindi c’è sicuramente un problema culturale e c’è sicuramente un problema di competenze e formazione, ovviamente non mi sto riferendo a chi si occupa di cure palliative ma a tutto il restante mondo sanitario. Ancora di più mi sento di dire che c’è un problema legato alla presa in carico del malato non oncologico e pediatrico. Le cure palliative sono quasi totalmente appannaggio del malato oncologico. Ci sono strutture di cure palliative, sia hospice che territoriali, che non prendono in carico il malato oncologico, quando si sa ormai che il bisogno ampiamente superiore è quello del malato non oncologico. Parlo del malato neurologico, del malato pneumologico, quello con scompenso cardiaco, insomma la maggior parte dei malati. Abbiamo anche il problema della precocità della presa in carico delle cure palliative: troppo spesso confondiamo le cure palliative con le cure del fine vita, quando ormai i modelli internazionali dimostrano che la precocità della presa in carico delle cure palliative, non solo migliora la qualità della vita, ma in alcuni casi migliora la quantità della vita residua».

Che sviluppi vi sono stati sull’applicazione della legge 38 sulle cure palliative, ancora non del tutto applicata?

«Non è ancora del tutto applicata. Ci sono territori e situazioni dove va meglio ma non è mia intenzione fare una classifica. Sicuramente i livelli istituzionali (e qui mi riferisco agli assessorati) non investono sufficientemente sul tema delle cure palliative sia a livello programmatorio sia finanziario. Poi è dimostrato a livello nazionale che le cure palliative riducono i costi: fare esami diagnostici e invasivi a pochi giorni dal decesso non ha veramente alcun senso, oltre che per la coerenza anche per l’utilità dell’atto. Riguardo il pediatrico, abbiamo 35.000 bambini, in Italia, col bisogno di cure palliative e forse il 10-15% vi accedono. E questa è un’altra grave lacuna».

La situazione è peggiorata con la pandemia?

«In realtà non c’è stata una grande differenza rispetto a questo. A parte alcuni hospice convertiti in hospice covid. Il covid ha avuto un impatto devastante con le relazioni con i familiari, anche con gli operatori. Senz’ altro c’è stata più difficoltà, per i cittadini, ad accedere, a causa delle restrizioni che il covid ha portato. Però devo dire, altrettanto, che il covid ha aperto possibili sviluppi e potenzialità, come i video consulti, affiancati dalla presa in cura diretta. Poter sviluppare i video consulti per intercettare i malati in fase precoce, di cure palliative potrebbe essere molto utile. Così come video consulenze ai medici, del territorio e non, che appunto non sono specializzati in questo campo».

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