29/09/2020 di Luca Marcolivio

Corte Suprema: con la nomina di Amy Barrett Trump blinda i principi non negoziabili

La presenza di giudici cattolici alla Corte Suprema degli Stati Uniti non è una novità: ve ne sono infatti, attualmente, ben cinque su otto. Non è certo una novità nemmeno la presenza femminile nella stessa Corte. Con la recente nomina di Amy Barrett, tuttavia, il presidente Donald Trump ha compiuto una scelta di campo, una delle più discusse nella storia della Corte Suprema, optando per una personalità che non passa inosservata. All’età di 48 anni, la Barrett diventa innanzitutto il più giovane giudice mai nominato alla Corte Suprema. È inoltre una pro life e pro family convinta e, in tal senso, la sua vita privata ne dà testimonianza: sette figli di cui cinque naturali e due adottati. Uno dei bambini è affetto da sindrome di Down.

La sua nomina ha suscitato forti malumori tra i democratici per due ragioni. La prima è di carattere istituzionale: avendo sostituito nel giro di poco più di una settimana, Ruth Bader Ginsburg (deceduta lo scorso 18 settembre, all’età di 87 anni), Trump, oltre a rafforzare la maggioranza conservatrice all’interno della Corte, potrebbe avere “le spalle coperte” in caso di eventuali schede elettorali contestate durante le elezioni del 3 novembre prossimo. Il motivo più rilevante, per cui la nomina di Amy Barrett fa discutere, è tuttavia nel suo profilo e nelle sue idee. In due occasioni, in qualità di giudice federale, la Barrett ha avuto di fronte come controparte nientemeno che Planned Parenthood: nel 2018 intervenne in un contenzioso tra il colosso abortista e lo stato dell’Indiana, che difendeva il diritto sancito per legge alla sepoltura o cremazione dei bambini abortiti; nel 2019, sempre con riferimento a una legge dell’Indiana, la Barrett votò per l’obbligo di informare i genitori, nel caso in cui a richiedere di abortire fosse una minore.

Nata a New Orleans il 28 gennaio 1972, Amy Vivian Coney, ha due lauree conseguite entrambe con il massimo dei voti: la prima in letteratura inglese al Rhodes College, la seconda in legge alla prestigiosa Notre Dame Law School, dove è stata premiata con una borsa di studio, come miglior allieva della sua classe. I brillanti risultati le hanno spianato la strada nella carriera forense e accademica. Amy Barrett ha lavorato alla Corte d’Appello per il Distretto di Columbia e ha insegnato alla George Washington University e alla Notre Dame Law School. Nel 2017, il presidente Trump l’ha nominata giudice federale alla Corte d’Appello degli USA per il VII Distretto, comprendente i tribunali degli stati dell’Illinois, dell’Indiana e del Wisconsin.

Sposata con l’avvocato Jesse Barrett, la nuova giudice della Corte Suprema ha adottato assieme al marito due bambini haitiani, uno dei quali rimasto orfano dopo il terremoto del 2010. Non potendo per questo essere tacciata di razzismo, sui social qualcuno si è inventato l’accusa di “colonialismo” contro i coniugi Barrett. La verità è che una donna di successo in grado di gestire anche una famiglia così numerosa, è destinata a suscitare invidie e malignità. «Pur essendo un giudice, a casa sono nota più come genitore di stanza, autista e organizzatrice di compleanni», ha dichiarato scherzosamente Barrett alla Casa Bianca, nel suo discorso di accettazione della nomina. «I nostri figli sono la mia gioia più grande, sebbene mi privino di una considerevole quantità di sonno». Riguardo alla pena di morte, Barrett ha più volte firmato ordini di esecuzione, tuttavia, in più occasioni ha affermato il diritto del giudice a ricusare tali cause e ad esercitare l’obiezione di coscienza.

Amy Barrett ha sempre indicato il suo “mentore” in Antonin Scalia (1936-2016), anch’egli giudice della Corte Suprema (1986-2016) e pro life convinto, presso il cui ufficio fu impiegata tra il 1998 e il 1999. «La sua filosofia giuridica è anche la mia – ha detto Barrett riguardo a Scalia –. Un giudice deve applicare la legge così com’è scritta. I giudici non sono uomini politici e devono essere rigorosi nel mettere da parte le proprie eventuali opinioni politiche”. Una dottrina denominata “originalismo” che contrasta con la prassi di molti magistrati progressisti, tendenti a legiferare attraverso le sentenze, specie riguardo ai temi eticamente sensibili.

La nomina di Amy Barrett ha mandato su tutte le furie i militanti lgbt. La nuova giudice della Corte Suprema si è infatti espressa contro la sentenza Obergefell vs. Hodges del 2015, che sancisce il matrimonio egualitario e contro il libero accesso dei transgender alle toilette pubbliche riservate a un sesso biologico diverso. In occasione del Sinodo sulla famiglia del 2015, Barrett fu tra le donne co-firmatarie di una lettera rivolta ai padri sinodali, in cui si sostenevano il «valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale», la «complementarità di uomini e donne», l’«apertura alla vita e il dono della maternità»; e il «matrimonio e la famiglia fondati sull’impegno indissolubile di un uomo e una donna». Barrett, che fa parte del gruppo ecumenico People Praise (legato al Movimento Carismatico), è stata frettolosamente etichettata dai liberal come una “fondamentalista” cattolica ultraconservatrice. La senatrice democratica Dianne Feinsten, durante un’audizione, le disse: «Il dogma vive rumorosamente dentro di te e questo è preoccupante». In realtà, Barrett ha sempre rivendicato un approccio “laico” alla professione giuridica. «Non è mai appropriato che un giudice imponga le convinzioni personali sulla legge, sia che derivino dalla fede o da qualsiasi altra cosa», si difese Barrett durante quella stessa audizione. Rimane il fatto che la nuova giudice della Corte Suprema ha sempre interpretato la legge a favore della vita, senza mai tradire i suoi principi.

Se la recente nomina da parte di Donald Trump sarà ratificata dal Senato nelle prossime settimane, la nuova Corte Suprema si caratterizzerà per un orientamento conservatore e pro life mai avuto nel recente passato. Vista anche l’età relativamente giovane di tutti i membri di nomina repubblicana, il massimo tribunale americano si prospetta, negli anni a venire, come un baluardo contro tutte le aggressioni ai principi non-negoziabili. Anche se a novembre, quindi, il nuovo presidente dovesse diventare Joe Biden, anche se un domani entrambi i rami del Congresso diventassero a maggioranza democratica, per il diritto alla vita e per la famiglia naturale, il lume della speranza rimarrebbe più acceso che mai.

 

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