17/03/2020

Coronavirus. Nel decreto “Cura Italia” le famiglie ricordate, ma non troppo

Nell’ultimo maxi decreto anti-coronavirus e «salva economia», composto da 120 articoli circa ed avente un peso economico stimato tra i 22 e i 25 miliardi, le parole chiave sembrano – così riportano i media – essere essenzialmente tre: imprese, sanità, famiglie. Questo per stare ai titoli. In realtà, come c’era da aspettarsi, le misure adottate dal governo per le famiglie sono abbastanza circoscritte e riguardano fondamentalmente i congedi «speciali» dal 5 marzo per tutti i dipendenti.

Si tratta, nello specifico, di 15 giorni da utilizzare tra mamma e papà – non, però, in contemporanea - al 50% dello stipendio. Congedi che non saranno retribuiti, invece, a chi ha figli tra 12 e 16 anni, limitazione per fascia di età che invece non esiste – giustamente, viene da commentare – in caso di figli disabili. In alternativa ai congedi parentali, i genitori lavoratori dipendenti con figli sotto i 12 anni potranno richiedere i voucher baby-sitter.

Il bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting è previsto «nel limite massimo complessivo di 600 euro e viene erogato mediante il libretto famiglia»; tale voucher salirà a 1000 euro per medici, infermieri, tecnici sanitari e ricercatori. Ora, è evidente che si tratta di misure senza dubbio tangibili, anche se verosimilmente non basteranno purtroppo a colmare fino in fondo l’impoverimento che, in ogni famiglia, sarà determinato dalla crisi economica che seguirà quella sanitaria del Covid-19, che a sua volta non terminerà prima di alcune settimane.

Chi ha provato a fare i conti complessivi, come il quotidiano La Repubblica, ha stimato che complessivamente – quindi sia considerando le suesposte misure, sia quantificando gli altri sgravi contenuti nel maxi decreto anti-coronavirus – il provvedimento varato nelle scorse ore dal governo apporterà, per ciascuna famiglia, un beneficio economico da 1.400 euro. Che non è, evidentemente, una somma così piccola anche se, lo si torna a ripetere, molto dipende dalla gravità della crisi economica che, come una voragine, si sta aprendo in questi giorni.

Ne consegue come, se da una parte – tanto più in questa fase emergenziale per la nazione – le polemiche vanno di certo evitate, dall’altra comunque non si può notare come le famiglie vengono raggiunte da provvedimenti complessivamente non decisivi. I congedi e le misure poc’anzi esposte, infatti, rappresentano un indubbio tentativo di tamponare quanto, con la chiusura delle scuole e non solo, sta avvenendo nelle case degli italiani, ma ancora una volta manca – questo è il punto – una visione complessiva.

Infatti non solo, come già detto, le misure pro family si riducono a meri interventi di congedo parentale o poco più, ma risulta assente – anche sorvolando sul fatto che nella categoria «famiglie» vengono di fatto incluse convivenze e famiglie fondate sul matrimonio, indistintamente, come fossero la stessa cosa – qualsivoglia disposizione in favore della natalità. Se infatti da un lato è chiaro che in questa fase emergenziale le risorse a disposizione sono quello che sono, dall’altro un segnale, anche piccolo, sarebbe stato di particolare apprezzamento.

Lo si sottolinea nella consapevolezza che la crisi demografica non ha certo origine economica, come spesso si sente dire; tuttavia, pare altresì fuori discussione come le condizioni materiali e l’impoverimento possano peggiorare un quadro già molto grave, che da molto tempo nel nostro Paese vede più morti che nati, tassi di natalità cimiteriali nonché da qualche annata pure avvisaglie di spopolamento. Motivo per cui, lo si ripete, un pensiero anche piccolo alla natalità, nel decreto anti-coronavirus, non sarebbe stato male, anzi. Che dire? Un’altra occasione perduta, purtroppo.

 

di Giuliano Guzzo

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