21/11/2020 di Francesca Romana Poleggi

Con uno smartphone in mano

I nostri bambini corrono grossi pericoli con uno smartphone tra le mani. Per ascoltare e sostenere le famiglie che incorrono nei mostri della rete, è stata realizzata all'inizio di novembre  una campagna di 200 affissioni, che l'Associazione Culturale San Michele Arcangelo e Pro Vita & Famiglia hanno lanciato per le strade di Ravenna, per pubblicizzare il numero verde  800 455 270, cioè il servizio offerto dall'Associazione Meter Onlus di Don Fortunato Di Noto, attivo da lunedì a venerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.30 e dalle ore 15.30 alle ore 18.00.
Esiste un vero e proprio commercio di bambini sulla Rete cui giova - e non poco - la sessualizzazione precoce che subiscono i piccoli, che - ahinoi - passano sempre più tempo davanti agli schermi. Da un lato, assistiamo sempre più frequentemente all'erotizzazione dell'infanzia a scopi pubblicitari. A poco a poco diventiamo assuefatti: a  film come quello trasmesso da Netflix, Cutes, con una protagonista undicenne “molto sexy”: ha fatto discutere, ma chi si è scandalizzato è stato bollato con i soliti epiteti di retrogrado, integralista, medievale, ecc ecc.
D’altro canto, i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus, riportati da Daniele Onori del Centro Studi Livatino, mostrano come tra i 14 e i 19 anni, il 36% dei ragazzi giochi al computer o al telefonino per circa 1,5 ore al giorno e l’11% dalle 3 alle 6 ore quotidiane. Peggio nella fascia 11- 13 anni:  il 50% gioca in media 1,5 ore al giorno, il 15% dalle 3 alle 6 ore e il 4% più di 7 ore.
Il 44% di questi preadolescenti, inoltre, fa giochi su internet che sono un mezzo privilegiato dai mostri per l’adescamento dei minori.
Non che i giochi off line siano meno pericolosi: per la dipendenza che comunque creano, per i disturbi neurologici che provocano, e perché un bambino può acquistare liberamente, o scaricare da internet, videogame indicati come adatti solo a un utente maggiorenne (come il materiale pornografico). 
I giochi on line, comunque nascondono un'ulteriore insidia. Per adescare i bambini - e non solo i bambini, invero - i mostri si creano identità fittizie e si presentano come compagni di giochi. Conquistano la fiducia di giovani e meno giovani, creano rapporti virtuali di confidenza che facilmente trasformano in rapporti di dipendenza. Cominciano a chiedere di scambiarsi foto “divertenti”, magari un po’ osé «… ma non c'è niente di male, è per farsi due risate». Quando ottengono qualcosa in tal senso comincia il ricatto: «Lo faccio vedere ai tuoi genitori, ai tuoi compagni di classe»  e ottengono sempre di più.
Esistono poi dei mostri che - a prescindere dagli appetiti sessuali -  creano dei giochi estremamente pericolosi. Da Instagram, Facebook o Tik Tok, arriva una richiesta di amicizia che propone un gioco, una sfida, una prova di coraggio che consente di “superare il livello”,verso la "vittoria". A ogni livello la sfida si fa sempre più difficile e comporta gesti di autolesionismo più o meno gravi, che possono innescare un circolo perverso di sfide sempre più ardue che si rivelano anche mortali. 
Tempo fa c'era la “Blue Whale”, ultimamente si parla di "Jonathan Galindo" che, secondo i genitori disperati, è stato responsabile del suicidio di un bambino di 11 anni, a Napoli: si è gettato nel vuoto perché doveva “seguire l’uomo col cappuccio”. 
Anche se in questo caso specifico la polizia postale pare abbia accertato che non c’era traccia di “Jonatan Galindo” nel dispositivo con cui giocava il ragazzino, anche se non ci fosse una persona o un'organizzazione specifica che mette in rete queste trappole mortali, resta il fatto che per “Blue Whale”, solo in Russia, ci sono state oltre cento vittime. 
Alcuni ragazzini sui social raccontano che tra le sfide on line c'è quella di incidere con una lama sulla pelle dell'addome le lettere iniziali del proprio nome, oppure il numero del diavolo, 666. 
E se anche all’inizio di tutto non ci fosse una mente malefica, ma una serie di scherzi stupidi (e “stupido” è un termine inappropriato, troppo leggero), il risultato non cambia.  
I genitori, sono ancora troppo poco informati, mettono troppo facilmente gli smartphone in mano ai ragazzini, aprono account sui social ai figli minori (sarebbe vietato solo sotto i 13 anni). 
E soprattutto sono troppo presi dal tran tran quotidiano (o dai loro interessi personali) per dedicare tempo ai figli, parlare con loro, giocare con loro.
Di solito è “colpa” del lavoro. A tal proposito, a volte è legittimo chiedersi quanto sia necessario il super-lavoro: serve per sbarcare il lunario? E allora, di certo, una società che non permette alle persone di lavorare per vivere, ma pretende che si viva per lavorare, è una società disumana. Ma siamo certi che il super-lavoro non serva per il prestigio, il potere, o per guadagnare il denaro necessario alla soddisfazione di bisogni superflui? 
Come al solito, credenti e non credenti, da un punto di vista anche solo razionale, dovrebbero riflettere sul precetto evangelico della povertà e sull’importanza di ciò che davvero è necessario (che è “invisibile agli occhi”, come diceva una Volpe famosa).
E - comunque - soprattutto, sappiamo bene cosa ha detto nostro Signore, in tutta la sua misericordia, a proposito di chi scandalizza i piccoli: “sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18,6).
 
Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, n. 46 del 2020
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