13/06/2020 di Luca Marcolivio

Canada, attivista Lgbt viene bullizzata dai suoi stessi “sodali”

Quella degli lgbt è una “rivoluzione permanente”. I cambiamenti sono turbinosi e viaggiano al ritmo delle mode che, notoriamente, variano da un’estate all’altra. In questa rivoluzione permanente, che intacca prima i costumi e poi le leggi, chi si ferma è perduto. Chi indulge in ripensamenti, riflessioni e autocritiche è considerato un tiepido o, peggio ancora, un traditore ed è fuori dai giochi, impallinato da qualcun’altro che, a livello di “pensiero” e “visione”, sta molto più avanti. Nell’ambito della comunità lgbt, chi crede che tutti i diritti siano ormai consolidati e acquisiti o anche chi inizia a ripiegare sul privato e si ammorbidisce nella sua militanza, viene subito isolato, additato e messo alla gogna.

È la nemesi incredibile capitata ad Amanda Jetté Knox, scrittrice, blogger e attivista arcobaleno canadese. Non una lgbt qualsiasi ma una dal “pedigree” piuttosto all’avanguardia. Nel 2014 annunciò con estrema fierezza che il piccolo Alexis, appena undicenne, uno dei suoi tre figli nati dal matrimonio con Zoe, aveva fatto outing come “ragazza transgender”. Neanche due anni dopo e anche il marito di Amanda, dopo 22 anni di vita insieme, le confessa di sentirsi donna. Nel giro di pochi mesi, la storia di Amanda e di Zoe, fa il giro del mondo, con foto di lui ormai abbigliato e truccato da transgender.

Lo scorso dicembre, la Knox era intervenuta in merito alle controverse dichiarazioni della scrittrice J.K.Rowling. L’ideatrice della saga di Harry Potter, pur simpatizzando per le cause lgbt, aveva colto tutti di sorpresa, prendendo le difese di una ricercatrice licenziata per aver affermato che i sessi sono soltanto due e che non è legittimo cambiare sesso. “Mia figlia che è trans, è una sua grande fan – scrisse Knox, replicando al tweet di Rowling –. Mi spezza il cuore vederla postare qualcosa che lascia intendere che la discriminazione contro di lei è un comportamento perfettamente accettabile per un lavoratore”.

Cinque mesi dopo, però, accade l’impensabile e l’irreparabile. Gli stessi amici lgbt, forse rosi dall’invidia o, semplicemente, da umana e meschina rivalità, iniziano ad accusare Amanda Jetté Knox di essere troppo poco a sostegno delle persone transgender e di trascurare la causa lgbt per autocompiacersi eccessivamente della propria vita familiare. Sul suo blog, la scrittrice descriveva la propria famiglia come “la più felice che poteva esserci”, aggiungendo che “il nostro mondo è così pieno d’amore e sostegno reciproco che non c’è assolutamente spazio per odio o ignoranza”.

In precedenza, Knox aveva addirittura affermato che l’outing di suo figlio Alexis aveva salvato il suo matrimonio. I commenti ostili avevano iniziato a sedimentarsi sul suo profilo Twitter: ingiurie e insulti mai provenienti da bigotti o conservatori ma tutti da militanti lgbt. Un martellamento insostenibile che hanno portato Knox alla chiusura dell’account e persino a un tentativo di suicidio. Un trauma da cui lei stessa si è faticosamente ripresa, come raccontato alcuni giorni fa sul suo blog, lasciandole ferite difficilmente sanabili. “Quando lunedì scorso ho parlato con la mia terapeuta […] le ho detto che la mia priorità assoluta è di tornare più assolutamente al mio stato precedente”, ha confidato.

Per farla breve, ciò che viene rimproverato ad Amanda Jetté Knox è aver ricordato che gli lgbt possono anche essere persone con una vita ordinaria, simile a quella della maggior parte delle persone: pagare le bollette, far riparare un computer, portare a spasso il cane, guardare una partita di baseball. Senza essere assillati 24 ore su 24 dalla loro “diversità”, senza il costante, morboso e ossessivo stimolo a raccontare pubblicamente il proprio vissuto intimo di donne in un corpo da uomini o viceversa. Peccato imperdonabile per l’inquisizione arcobaleno, i cui tribunali funzionano in modo molto simile a quelli del Terrore Giacobino o di tutte le dittature: accuse di tradimento, processi sommari, nessun diritto alla difesa e ghigliottina mediatica.

 

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