06/03/2021 di Francesca Romana Poleggi

Buona e mala sorte degli embrioni

La notizia ha fatto scalpore: il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha consentito a una donna l’impianto di un embrione «creato» in vitro quando era sposata, nonostante  l’ex marito attualmente fosse contrario. 
Di primo acchito, addolora vedere che un figlio, un essere umano, sia considerato una cosa, un oggetto di contesa. Un embrione è un bambino piccolo piccolo. La scienza onesta lo sa bene. Ma i cultori del pensiero unico dominante negano che egli sia persona: quindi si può fare e disfare in laboratorio, si può congelare, scongelare, impiantare, abortire. È una cosa che si può possedere, un oggetto per il quale si può litigare. 
In questo caso essendo figlio di due divorziati, visto che non può (ancora) essere salomonicamente diviso a metà, può essere disputato in tribunale.
Nel 2000, il tribunale di Bologna, in un caso analogo, aveva dato ragione al marito: aveva deciso che “il diritto di procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza”. Quindi, il diritto di non procreare  del padre andava rispettato e la donna senza il suo consenso non ha potuto farsi ingravidare.
Questa volta, invece, ha vinto la moglie.Il giudice campano ha fatto valere l’articolo 6, comma 3, della legge 40 del 2004, per cui “la volontà [di diventare genitori a seguito di fecondazione artificiale] può essere revocata da ciascuno dei soggetti [...] fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. Dopo non più. Quindi quell’uomo è già padre e non può più tirarsi indietro. Anche se divorziato, resta legalmente padre del bambino che nascerà e sarà  legalmente responsabile della sua educazione e del suo mantenimento. 
La citata legge 40 del 2004, purtroppo ha legalizzato la fecondazione artificiale e ha aperto la porta all’abominio. Inizialmente - però - vietava il congelamento degli embrioni. La Corte Costituzionale (come c’era da aspettarsi)  ha fatto saltare anche questo paletto, e quindi oggi abbiamo un numero imprecisato, ma probabilmente altissimo, di creature congelate nelle cliniche della fertilità che vengono trattati come cose.
Ogni tanto li buttano via, come bastoncini di pesce scaduti; ogni tanto li tirano fuori per impiantarli, magari dopo 28 anni: come Molly Everette Gibson, una bambina in Tennessee, nata nel dicembre scorso da una donna che aveva 18 mesi quando lei era stata assemblata in provetta. 
C’è da dire che in questo caso c’è stata di mezzo un’associazione di ispirazione cristiana che raccoglie gli embrioni “abbandonati” e li dà gratuitamente a chi voglia “adottarli”. Su questo punto, non mi sento di esprimere un giudizio: non sono un teologo. So che la Chiesa non approva l’adozione di embrioni congelati: impiantare una vita in utero in modo artificiale è un male, così come è un male lasciare morire i bambini congelati. È un problema senza soluzione. 
Ma il male alla radice che è causa di tutti gli altri mali è l’assemblare bambini in provetta.
Nel giocare con queste piccole vite, se ne uccidono un numero immenso (per ogni bambino che nasce con fecondazione artificiale, ne muoiono circa 10). E i bambini che nascono in modo artificiale vengono coltivati in un brodo di coltura e in una capsula di Petri che non hanno niente in comune con il grembo materno. Lo spermatozoo che viene unito all’ovulo è scelto da un essere umano, non è quello selezionato dalla natura che arriva alla meta primo tra milioni di concorrenti; i bambini “artificiali”, quando riescono a nascere, sono stati privati del rapporto con la madre nei loro primi 7 - 10 giorni di vita: tutto questo ha delle conseguenze sulla salute dei piccoli, che nessuno dice - per non turbare il business miliardario delle cliniche per la fertilità - ma che la scienza registra con preoccupazione (ricordiamo che non sappiamo come invecchieranno queste persone: Louise Brown, la prima bambina in provetta ha solo poco più di 40 anni).  
Ma torniamo, per concludere,  alla vicenda di Santa Maria Capua Vetere. Da un punto di vista strettamente giuridico, forse si potrebbe cavarne qualcosa di buono, se fosse un precedente che serva a riconoscere il diritto di un embrione di nascere, prevalente su quello di uno dei genitori che non vuole procreare. Questo sarebbe un passo avanti, in controtendenza con la mentalità mortifera prevalente che non riconosce ai bambini nel grembo alcun diritto, perché non li considera persone.
 
DaIl Settimanale di Padre Pio
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