13/06/2019

Utero in affitto, dall’India all’Ucraina all’Africa, nuova Mecca. Tutti paesi poveri!

Sempre più coppie gay ed etero scelgono l’utero in affitto nei Paesi africani, dove tale pratica costa fino a quattro volte meno che negli Stati Uniti. Fino a qualche tempo fa le vere destinazioni low cost erano India e Thailandia ma da quando questi paesi hanno messo al bando tale pratica, ora chi vuole un figlio a tutti i costi, a prezzi più o meno abbordabili, deve mettersi in viaggio verso l’Africa.

 Il Kenya, per la precisione, è lo stato africano in cui sfruttare il corpo della donna costa meno. Lo assicura Joseph Tito, produttore cinematografico e televisivo canadese, omosessuale e single che, avendo deciso di ricorrere alla maternità surrogata per avere un figlio e non volendo spendere un patrimonio, si è recato, appunto in Africa e ha deciso di raccontare il suo viaggio su Instagram, dalle pagine del suo blog, “The dad diaries”.

La surrogacy negli Stati Uniti costa circa 120mila dollari, non avevo quei soldi così ho cercato altri posti dove un uomo single potesse intraprendere questo percorso. Così ho trovato una clinica in India che ha aperto una filiale in Kenya ed è lì che ho deciso di iniziare la mia avventura”, scrive Joseph sul suo blog. E per un totale di 45.000 dollari si assicurerà un ovulo e una madre surrogata africana.

Secondo una recente inchiesta di Francesco Borgonovo su La Verità, con un po’ più di 45.000 dollari, la clinica indiana Kiran, che ha aperto una sede anche a Mombasa, può offrire, invece, un pacchetto completo che comprende trasferimenti multipli di embrioni, farmaci, esami del sangue, surrogata, cure prenatali e consegna”.

Purtroppo si tratta di un mercato in rapidissima crescita, lo ha confermato recentemente anche il quotidiano The Australian: in Australia 5 bambini su 193, venuti al mondo attraverso la pratica dell’utero in affitto, erano nati in Kenya. Dopo l’Est Europa, Kenya, Nigeria e Ghana sono diventate la nuova Mecca dell’utero in affitto. Una competitività, in termini di tariffe, rispetto ad altre mete, come gli Stati Uniti, che nasce principalmente dalle condizioni di profonda miseria in cui versano questi paesi. Pensiamo che, in Africa alle madri surrogate, verranno versati non più di 6,5mila dollari per portare avanti una gestazione, mentre le colleghe americane, ne guadagnano ben 100mila.

Per questo le “multinazionali” del settore stanno aprendo sempre più filiali in questi luoghi dominati dalla povertà più nera, perché permettono il massimo sfruttamento di una “manodopera” che accetterebbe una qualsiasi fonte di sussistenza a qualunque condizione di sfruttamento, pur di non morire di fame.

Manuela Antonacci

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