28/03/2023 di Francesca Romana Poleggi

Utero in affitto. Ci risiamo col "best interest" del bambino

Usare i bambini, non solo fisicamente, ma anche ideologicamente è una costante di questa società: del resto, se i bambini si possono uccidere (con l’aborto), è ovvio che si possa far loro “tutto” il resto.
La cosa più squallida è che, nel loro “miglior interesse”, si voglia far passare abuso e sfruttamento come strumenti di tutela. Un po’ come quando hanno ucciso Charlie Gard, Alfie Evans (e gli altri) nel loro “best interest”.
 
Sul sito del CBC (The Center for Bioethics and Culture Network) è apparso il 27 marzo un articolo di Renate Klein, biologa e sociologa, femminista DOC, di sinistra, che critica in modo acceso uno di questi tentativi, ad opera della Hague Private International Law Conference (HCCH) (Conferenza dell’Aia sul diritto internazionale privato).
L’ente sovranazionale è stato istituito nel 1983,  e conta 91 membri paganti tra cui USA e UE, più una sessantina di “contraenti” non paganti. Ha già fatto danni nel 1980 con la "Convenzione dell'Aia sugli aspetti civili dell'infanzia internazionale” grazie alla quale si è levata la protesta delle cd. “Madri dell’Aia” (donne che in base a questa convenzione misogina devono restituire i figli ai mariti anche se vi è stata una violenza documentata da parte dell’uomo, e la donna è fuggita al sicuro con i figli in un altro paese).
 
Dal 2015, “nell'interesse superiore del bambino", l’HCCH  sta predisponendo una Convenzione sulla maternità surrogata e/o un Protocollo sulla genitorialità. Una prima relazione finale, discussa all’inizio di questo marzo, prospetta ipoteticamente tanti modi diversi per dare "sicurezza" e "identità" ai bambini. Ma la cosa che sembra più importante è, tuttavia, assicurarsi che la madre surrogata (e il suo partner, se ce n'è uno) scompaia e venga completamente oscurata dai "genitori committenti" – gli acquirenti di bambini.
 
Si vorrebbe la creazione di un documento chiamato "Parentage Order", che, nei paesi membri dell’HCCH, renderà genitori legali del bambino coloro che l’hanno comprato al mercato dell’utero in affitto. "Nel migliore interesse dei bambini". 
E sono in tanti che cercano di sdoganare il turpe mercimonio con la scusa della tutela dei piccoli: per esempio il CHIP (Child Identity Protection), o i Servizi Sociali Internazionali (ISS), una ONG con sede a Ginevra che si occupa dei bambini rifugiati, migranti e… nati da maternità surrogata. 
 
Nel marzo 2021, invece, un gruppo di oltre 100 "esperti" internazionali ha creato i “Principi di Verona: Principi per la tutela dei diritti del bambino nato attraverso la maternità surrogata”. 
I Principi di Verona sono un po' come i Principi di Yogyakarta per le persone transgender: dice la Klein che entrambi sono stati scritti da una lobby potente e non sono mai stati ratificati dalle Nazioni Unite o da altri organismi internazionali, ma sono spesso considerati come se fossero norme internazionali.
Ignorando il fatto che la maternità surrogata commerciale è legale solo in una piccolissima minoranza di paesi nel mondo, in nome della 'dignità umana', dei 'diritti fondamentali del bambino' ecc. spiegano come regolare l’utero in affitto. Le donne sono menzionate solo una volta, dove si dice che “la madre surrogata dovrebbe essere in grado di prendere decisioni indipendenti e informate libere da sfruttamento e coercizione”. Il che - contratti di surrogacy alla mano - accade al massimo nel 2% dei casi di utero in affitto.
Fin qui la Klein che, come femminista, vede - giustamente - questa subdola esigenza di tutela del “best interest” del bambino come un mezzo per perpetrare lo sfruttamento delle donne  che si prestano a fare le madri surrogate.
E ha pienamente ragione: la pratica dell’utero in affitto è sempre abusante nei confronti delle donne “incubatrici”. Sia quando si tratta di donne povere costrette dal bisogno, sia quando si tratta di donne relativamente benestanti che lo fanno, sì per arrotondare il bilancio familiare, ma provano un sincero spirito di solidarietà nei confronti delle coppie sterili. Quindi, anche nei rari casi in cui la cd. “maternità solidale” (che vorrebbero anche qui da noi) fosse davvero gratuita (cioè senza un congruo rimborso spese) e dettata davvero solo dall'altruismo.
È infatti dimostrato che i contratti che stipulano i compratori di bambini e/o le cliniche con le surrogate sono sempre contratti capestro che impongono oneri gravosissimi sulla malcapitata, che spesso non è adeguatamente informata e non se ne rende conto (dal pesante bombardamento ormonale che deve subire, alla dieta che deve seguire, all’attività fisica che deve fare, all’aborto obbligatorio se gli embrioni che attecchiscono sono troppi o malati). La surrogata diventa una specie di schiava dei committenti, controllata a volte h 24. E ciò non avviene solo nei paesi del terzo mondo, ma anche nella "civilissima"(sic!) America del Nord. 
Non solo: le testimonianze che si raccolgono ormai dappertutto (basti vedere lo stesso sito della CBC di cui sopra) dimostrano che della salute delle portatrici non importa niente a nessuno: muoiono nell’indifferenza generale (ma non se ne parla mai, ovviamente); oppure sono costrette a curarsi da sé per problemi fisici o psichici, anche gravi, in quanto le gravidanze surrogate sono molto più rischiose delle gravidanze naturali. 
 
Certamente anche a noi sta a cuore la tutela dei diritti e della salute delle donne. 
I bambini, però, sono le prime e principali vittime di questo ignobile mercimonio. 
Come accade in ogni ciclo di fecondazione artificiale - che è presupposto necessario all'utero in affitto - per ogni bambino in braccio ce ne sono 8 o 9 morti o scartati e un numero imprecisato surgelato a tempo indefinito; come per la fecondazione artificiale il rischio di nascere con “birth defects”, tumori o malattie rare è molto più alto che nelle gravidanze naturali. Con l’utero in affitto, visto che i gameti del piccolo non hanno niente a che fare con la madre che lo tiene in grembo, questi rischi si moltiplicano ulteriormente.
Ad essi si aggiunge il trauma vissuto già in utero per via del cortisolo che la madre produce perché “ non deve affezionarsi al figlio che ha dentro”.
In più - se scampa a un eventuale aborto selettivo - il bambino subisce l’enorme trauma della separazione dal corpo che l’ha cullato: non sentirà più quell’odore, quel sapore e quella voce.
E se alla fine la “merce” presenta qualche difetto, i compratori hanno il diritto di non ritirarla. La madre surrogata difficilmente può permettersi di allevarlo e nella migliore delle ipotesi finisce in qualche istituto caritatevole. 
 
Se invece il piccolo soddisfa i compratori, se lo portano a casa come bene su cui vantano un diritto. Il “miglior interesse” del bambino è crescere con un padre e una madre che l’hanno generato, o con due padroni che l’hanno acquistato, magari violando la legge vigente nel Paese in cui risiedono? 
 
E allora come si fa, per quei poveri bambini che restano apolidi, o senza documenti regolari?
 
I servizi sociali sono tanto svelti a togliere i figli a genitori che si sospetta vagamente siano poco degni. Li tolgano a questi che hanno  ottenuto il bambino con una pratica sicuramente indegna: la fila delle coppie che hanno superato i controlli e i test necessari per poter adottare è lunga. Costoro vengono selezionati non in base al loro desiderio di avere un figlio, ma in base alla loro capacità e disponibilità di dare al bambino l’amore di un padre e di una madre.
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