22/10/2020 di Giuliano Guzzo

Se la Cgil irride le donne contrarie all'utero in affitto

Da che parte politicamente e legittimamente stia il sindacato Cgil è un po’ il segreto di Pulcinella. Ciò non toglie, tuttavia, che si faccia fatica a comprendere il motivo per cui un sindacato che dovrebbe fare gli interessi dei lavoratori si sia messo, non da oggi, a spalleggiare il movimento Lgbt nelle sue istanze più estreme e lesive addirittura dei diritti umani, primo tra tutti quello di non mercificare il proprio corpo.

Eppure è esattamente quel che succede, come dimostra anche il post con cui Sandro Gallittu, responsabile dei nuovi diritti della Cgil, si è messo ad irridere su Facebook (con il commento «bubù-settete») la scrittrice e giornalista Marina Terragni per via della sua adesione - con tanto di foto insieme ad un cartello con la scritta «nessuno è più misogino di chi vuole affittare un utero» - alla campagna femminista contro l’utero in affitto.

Un gesto, quello di Gallittu, che giustamente non è passato inosservato ed ha, anzi, sollevato delle critiche. Come quella della giornalista del Corriere della Sera Monica Ricci Sargentini, che così, sempre su Facebook, ha commentato: «A parte il momento tragico per la nazione che suggerirebbe di occuparsi di problemi più urgenti, la domanda che vorrei fare a Gallittu è: ma veramente usare il corpo della donna come un contenitore e decidere di strappare il neonato a chi l’ha tenuto in grembo nove mesi è un nuovo diritto? E ancora: è normale che un sindacalista scriva post del genere? Segretario Landini se ci sei batti un colpo».

In effetti, che esponenti di primo piano della Cgil, pur di spianare la strada al ddl Zan-Scalfarotto contro la cosiddetta omotransfobia, arrivino a tifare per l’utero in affitto è quanto meno singolare, dato che si tratta davvero di una pratica schiavista, che umilia le dignità femminile. E questo, si badi, non lo credono solo i conservatori, la Terragni e la Sargentini, essendo un pensiero diffuso anche a livello internazionale, come provano tutta una serie di prese di posizione, alcune delle quali davvero di primo piano.

Si pensi, per stare alla cronaca più recente, a quanto scritto da Julie Bindel - nome che a qualcuno può non dire nulla ma assai di peso, trattandosi di una scrittrice femminista radicale ed attivista inglese - nei giorni scorsi sul giornale londinese Evening Standard. La Bindel, che viene da un Paese, il Regno Unito, che ha la maternità surrogata “altruistica” - quella che i nostrani promotori dell’utero in affitto vorrebbero sdoganare - legale dal lontano 1985, ha in sostanza messo nero su bianco che si tratta di un inganno.

«Parlare di “maternità surrogata altruistica” ossia di un accordo per cui la madre surrogata può agire solo liberamente e dietro rimborso spese», ha infatti scritto la Bindel, «è fuorviante. In Gran Bretagna una madre surrogata può richiedere fino a 15.000 sterline di rimborsi spese, che equivalgono allo stipendio annuale per molte donne con un lavoro a bassa retribuzione». A seguire, la celebre femminista radicale ha riportato testimonianze forti e che sarebbe eufemistico definire da brivido.

«Ho parlato con una donna britannica», ricorda, «che è stata costretta dal marito violento a stipulare un accordo di maternità surrogata per saldare i suoi debiti. A un'altra, con peraltro già due figli suoi, è stato chiesto di portare un bambino per una coppia gay; e non appena è rimasta incinta, i genitori committenti hanno tentato di controllare la sua vita, dettando cosa poteva mangiare e bere, mandandole messaggi costantemente. "Ero considerata una loro proprietà", mi ha confidato».

Ecco, questo è il “lavoro” che alcuni esponenti della Cgil, irridendo le femministe che ne sono contrarie, intendono appoggiare; di fatto, una nuova forma di schiavitù. Il che porta a commentare che c’era una volta il sindacato dalla parte dei lavoratori. Molto una volta, purtroppo.

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