06/04/2016

Le donne “childfree” sono sempre di più. Ma è vera emancipazione?

In carriera, impegnate in politica o nella società civile. Sono le nuove donne indiane, quelle che vivono nelle megalopoli di un paese in via di sviluppo che punta ad affermarsi sempre più sulla scena delle grandi potenze del globo.

Una nuova generazione che sceglie di andare contro quelle che vengono considerate ‘tradizioni’ e ‘convenzioni sociali’, decidendo di non avere figli per dedicarsi alla carriera oppure, semplicemente, per non essere ‘schiave’ di regole e di ruoli considerati imposti dalla società. Donne, insomma, che si allineano anche in questo al mondo occidentale, dove si è oramai arrivati al paradosso di decidere di farsi sterilizzare per non correre il ‘pericolo’ di avere figli.

Una scelta, quella di queste donne indiane childfree, considerata da molti ‘di libertà’ e raccontata in un pezzo apparso sul blog del Corriere della Sera, La27esimaOra, con le parole di scrittrici, poetesse e saggiste indiane come Tishani Doshi e Amrita Nandy.

La Nandy, in particolare, saggista e ricercatrice dell’università di New Delhi, racconta della nuova generazione di donne indiane che “si sottraggono al proprio destino biologico e sociale”, e in particolare quindi alla scelta di essere mamme, seguendo un atteggiamento di allontanamento da ruoli e stereotipi sociali della società indiana, considerata arretrata o patriarcale. L’atteggiamento definito childfree dall’Autrice della ricerca viene spiegato come la volontà di emanciparsi dal tradizionale ruolo di donna-madre.

Ma siamo certi che questa sia la vera emancipazione? E che questa ricerca di omologarsi a tutti i costi a modelli e ruoli che non sono propriamente femminili doni qualcosa in più, e invece non privi il mondo delle peculiarità femminili? E le donne occidentali ‘emancipate’ – costrette a dividersi tra un paio di lavori precari per portare a casa lo stipendio a fine mese e a posticipare la maternità per ovvie ragioni economico-sociali, o a togliere tempo prezioso all’educazione dei propri figli per il lavoro – sarebbero d’accordo con le colleghe indiane? E chi l’ha detto che non si può essere allo stesso tempo donne, mamme e ottime professioniste? Una cosa esclude l’altra?

Ma la società in India, è “ossessionata dal concetto della Madre”, si legge sul blog del Corriere, che commenta il libro di poesie di Tishani Doshi. E invece, afferma la poetessa, si può essere madri in tanti modi, anche se si sceglie di non avere figli, rinunciando ai propri “diritti riproduttivi in modo da essere madri di milioni di persone”. Ma, posto il fatto che innegabilmente l’attitudine materna è propria anche di quelle donne che non hanno la possibilità di avere bambini, come si fa a sentirsi madri se si rifiuta deliberatamente di aprirsi alla vita? Se si sceglie di rifiutare a priori che la vita cresca nel proprio grembo in nome dell’opposizione alle ‘convenzioni’ della società cosiddetta tradizionale? Cosa che non è poi altro che una convenzione essa stessa, ed anche più ideologizzata di quelle che si vorrebbero contrastare.

Una battaglia di libertà sul voler o meno generare dei figli, oltre che essere ridondante, sembra piuttosto un passo indietro rispetto alla vera libertà delle donne: quella di poter esprimere appieno la propria natura ed essere madri, mogli, professioniste affermate, donne in carriera, attiviste politiche o sociali. Nessuna di queste cose esclude l’altra, anzi.

Il dono di poter essere madri è una peculiarità soltanto femminile. Solo noi donne abbiamo il privilegio di nutrire, accogliere e generare la vita. Perché negare il più bel privilegio che ci è concesso in nome dell’omologazione dei sessi e dei ruoli sociali? La bellezza sta nella diversità, quella che l’omologazione pretende di difendere nella teoria ma che, nella pratica, fa di tutto per cancellare.

Anastasia Filippi

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