08/01/2020

La Spagna vieta l’utero in affitto. La sinistra italiana sta a guardare

C’era una volta la sinistra saldamente schierata dalla parte dei deboli, degli oppressi, degli ultimi. Intendiamoci: non tutta la sinistra era così, ma una parte sì. Oggi, invece, quando da sinistra vengono prese di posizione per gli ultimi davvero – come i figli – la cosa fa addirittura notizia. Si pensi a quanto sta avvenendo questi giorni in Spagna, con il governo di Pedro Sanchez e Pablo Iglesias che, nel programma depositato alla vigilia del voto di fiducia, ha presentato un punto (il settimo) decisamente controcorrente e conforme all’antico schierarsi, da parte della sinistra appunto, con i «deboli».

Già, perché tale punto programmatico in buona sostanza dice no a quelle “pance a noleggio” («Los vientres de alquiler») che sono, come noto, conditio sine qua non dell’utero in affitto. Il governo spagnolo si schiera dunque contro la maternità surrogata perché questa pratica «mina i diritti delle donne, soprattutto le più vulnerabili, mercificando i loro corpi e le loro funzioni riproduttive». «Agiremo contro le agenzie che offrono questa pratica sapendo che è vietata nel nostro Paese», recita inoltre il documento. Che quindi contiene una vera e propria presa di posizione contraria all’utero in affitto da parte del governo spagnolo.

D’accordo, ma la sinistra italiana? Non pervenuta su questi temi. O, peggio, pervenuta malissimo dato che, come noto, i progressisti nostrani tentano ancora di vendere la favoletta dell’utero in affitto come «scelta volontaria». Il che può anche essere, almeno in casi molto rari. Ma non è un buon argomento. Primo perché «scelta volontaria» non significa automaticamente scelta giusta – anche i peggiori criminali agiscono per «scelta volontaria»  -, secondo perché ragionando in questi termini passa sempre in secondo piano qualcosa, anzi qualcuno: il figlio.

Si finisce infatti così per discutere, un po’ come già avvenuto ai tempi dell’aborto, solo dei massimi sistemi – la libertà della donna, il «diritto» alla genitorialità, eccetera – perdendo di vista due elementi imprescindibili della questione, e cioè per l’appunto il figlio e il suo diritto ad essere trattato da persona umana e non come oggetto di compravendita, e in secondo luogo lo sfruttamento del corpo della donna. Uno sfruttamento non solo incivile ma, talvolta, anche mortale come provano i censuratissimi casi, tra gli altri, delle povere Premila Vaghela e Brooke Lee Brown.

Non è insomma la sinistra spagnola ad essere bizzarra, quando si schiera contro la maternità surrogata: è la sinistra italiana incomprensibile nel non fare altrettanto. Tanto più che i precedenti internazionali non mancano. Basti ricordare quanto avvenuto a Parigi nel febbraio 2016, quando si tenne un convegno per l’abolizione universale dell’utero in affitto organizzato da tre sigle di insospettabili di simpatie conservatrici: Cdac, Collettivo diritti delle donne, guidato da Maya Surduts e Nora Tenenbaum, Clf, Coordinamento lesbiche francese, presieduto da Jocelyne Fildard e Catherine Morin Le Sech, e Corp, Collettivo per il rispetto delle persone.

Anche in Italia sono emerse, da qualche anno, voci contrarie all’utero in affitto insospettabili di partigianeria reazionaria. Si pensi, su tutte, ad una rappresentante storica e nota a livello mondiale come Luisa Muraro, autrice di un libro dal titolo inequivocabile: L’ anima del corpo. Contro l’utero in affitto. Degno di nota è anche l’attivismo contro quella che alcuni chiamano assai discutibilmente “gestazione per altri” da parte di Francesca Izzo, filosofa, docente universitaria nonché una delle autorevoli del movimento femminile nato nel febbraio 2011, Se non ora quando?  La sinistra italiana avrebbe insomma tutti gli spunti – in aggiunta all’esempio virtuoso, su questo versante, della Spagna - per impegnarsi contro l’utero in affitto. Che cosa aspetta?

 

di Giuliano Guzzo

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