22/07/2016

Ginecofobia. Chi ha paura delle donne?

Parliamo oggi di ginecofobia e lo facciamo con don Massimo Lapponi, sacerdote benedettino attualmente impegnato in Sri Lanka, che ha gentilmente rilasciato un’intervista a ProVita.

In poche battute cercheremo di dettagliare i confini di questa nuova “corrente di pensiero”, di profonda attualità e di grande interesse per ognuno di noi.

Ginecofobia. Di cosa stiamo parlando? A cosa si fa riferimento con questo termine e in quale contesto socio-culturale ha esso origine?

Non sarebbe onesto nascondere che il termine “ginecofobia” è stato suggerito dal termine “omofobia”. Se, infatti, questa parola di nuovo conio vuole indicare la non accettazione come “normale” di una condizione umana che invece risulterebbe “normale”, molto più giustificato risulta definire “ginecofobia” la non accettazione come “normale” della condizione della donna, in quanto naturalmente legata alla sponsalità e alla maternità. Quando questi ruoli della donna vengono definiti “stereotipi e pregiudizi” e si parla di “decostruirli”, siamo palesemente in piena “ginecofobia”. Aggiungo solo che, parallelamente, bisognerebbe parlare di “androfobia”. Si è preferito insistere maggiormente sulla “ginecofobia” perché il danno apportato alla condizione femminile appare più rilevante e più gravido di conseguenze per il genere umano.

L’ideologia gender, nella quale tutto questo trova origine e sviluppo, costituisce un grande pericolo per tutta la società. Ma qual è lo specifico femminile che non dovrebbe andare perduto?

Parlando di “specifico femminile” non si vuole affatto escludere la donna dai ruoli sociali che ella ha conquistato con una apprezzabile lotta per una giusta “emancipazione”. Si vuole, però, evidenziare il fatto che, anche in questi ruoli, la donna – essendo diversa dall’uomo – apporta qualche cosa di proprio, il che costituisce un grande arricchimento per la società. Ora non c’è dubbio che a fondamento dello “specifico femminile” vi sia la vocazione della donna alla maternità, concetto che non deve essere inteso nella sua sola dimensione fisica. Se mi permette accennare anche a un discorso di fede, l’affermazione che la Madonna è “Madre della Chiesa” indica chiaramente una dimensione della maternità che supera immensamente il semplice concetto di generazione fisica.

Nel Manifesto del Movimento giuridico contro la ginecofobia si legge che «La negazione del fondamentale diritto delle donne ad essere se stesse, cioè esseri femminili, si accompagna con la contraddittoria pretesa di conferire questo diritto – che nelle premesse del movimento ginecofobico non può essere considerato un diritto, perché si tratta di una costruzione culturale transitoria e infinitamente mutabile – a persone che hanno dalla nascita un essere biologico-strutturale maschile». Potrebbe dettagliare meglio questo punto?

Se mi permette una battuta, vorrei dire che chi pretende di acquisire il diritto alla maternità dopo aver dichiarato che la maternità è un “concetto antropologico”, assomiglia a quegli operai che prima affermavano di volere Il Capitale di Marx, ma che poi dimostrarono di volere, invece, il capitale di Agnelli! Ma come il capitale di Agnelli non si può volere se non si accetta la legittimità del capitale e della proprietà privata e non si rifiuta, perciò, Il Capitale di Marx, così i ruoli di padre e madre non si possono volere se non si accetta la naturalità dei sessi biologici.

Alla luce di quanto detto fino ad ora si potrebbe concludere che viviamo in una società tanto in crisi di “femminile”, quanto in crisi di “maschile”. Mancano sia le (vere) donne, sia i (veri) uomini. Come si può fare per uscire da queste impasse e fare in modo che ognuno torni a occupare il proprio ruolo, nel rispetto e nella stima reciproca per la sana e ricca differenza tra uomini e donne?

Viviamo nella contraddizione, come spesso accade quando si smette di seguire la legge naturale. Da un lato si tenta di negare la naturalità dei due sessi e di denunciare i veri o presunti squilibri che deriverebbero dalla sua affermazione (si pensi al “femminicidio”); dall’altra si vorrebbero acquisire giuridicamente, senza averne la realtà effettiva, i ruoli familiari e genitoriali che necessariamente si fondano sulla differenza dei sessi. Se l’ideologia gender fosse coerente, anziché rivendicare per chi non ne ha la realtà, i titoli di “padre”, “madre”, genitore”, “figlio” o “figlia”, dovrebbe semplicemente chiedere l’abolizione dei tradizionali ruoli familiari e affidare l’educazione dei minori ad apposite istituzioni.

Penso che una via importante, anche se non la sola, per uscire da queste impasse sia proprio quella di non stancarsi di denunciare le insuperabili contraddizioni dell’ideologia gender e i danni irreparabili che ne derivano per l’uomo, per la donna e per tutto il genere umano.

Teresa Moro

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.