17/08/2018

Femminismo vs obiezione di coscienza: una strategia militare

L’International Women’s Health Coalition, importante voce del femminismo sul tema dei “diritti riproduttivi”, ha reso pubblico, alcune settimane fa, un rapporto contro l’obiezione di coscienza, dal titolo Senza scrupoli – Quando gli operatori rifiutano la cura [sic!] dell’aborto. Ora, in ogni vero conflitto, si sa, la vittoria dipende in larga misura dall’impegno profuso nello studio dell’avversario nei suoi punti forti e deboli, del campo di battaglia, delle circostanze ecc. Questo discorso è universale: vale per qualsiasi tipo di scontro, compreso quello intellettuale. Nel documento in questione troviamo un esempio perfetto di “strategia militare”, ovvero l’elargizione di una serie di raccomandazioni sul metodo da seguire nell’offensiva contro questo grande nemico del femminismo: la coscienza. Riportiamo quelle che, a nostro avviso, sono le più interessanti:

Aggiorna e rinomina. Aggiorna il dibattito per chiarire ed enfatizzare che “l’obiezione di coscienza” è un termine improprio che sovverte l’etica, gli obblighi e gli standard della professione sanitaria. Durante la riunione i partecipanti non sono giunti a un accordo su quale terminologia utilizzare, hanno considerato termini come “rifiuto di fornire servizi”, “rifiuto dei servizi” e “disobbedienza disonorevole” […].          

Recupera il concetto di coscienza. Non concedere il termine “coscienza” a coloro che danno priorità alle credenze individuali rispetto alla condotta professionale e al diritto di accedere o fornire assistenza sanitaria. Fa’ luce sulle conseguenze dannose per la salute delle rivendicazioni di coscienza nel contesto della cura dell’aborto. Enfatizzare “l’impegno coscienzioso” e la condotta professionale dei fornitori di assistenza sanitaria che danno la priorità ai diritti dei pazienti.
Quantificare i costi […]. Gestire le richieste di coscienza può essere costoso e può creare inefficienze nell’allocazione delle scarse risorse sanitarie. […]

Si tratta di vecchie strategie da sempre usate per la propaganda mediatica della cultura della morte. Siamo in presenza di quello che è l’esatto opposto della strategia pro life:

Innanzitutto mai chiamare le cose con il loro nome: come, a suo tempo, “aborto” divenne “IVG” (e da delitto passò a diritto), così oggi “obiezione di coscienza” diventa “disobbedienza disonorevole” (e da diritto passa a delitto). L’impegno “coscienzioso”, invece, transita da coloro che si oppongono all’aborto a coloro che lo praticano. Un evergreen della Rivoluzione (di cui il femminismo è parte integrante): la neolingua. La prima cosa da fare per cambiare le idee è mutare le parole.

In secondo luogo spostare l’attenzione dal vero oggetto della questione a un tema collegato ma non pertinente: poiché il cuore del problema è sempre lo stesso, e cioè l’irreparabile ingiustizia della soppressione di una vita umana innocente, lo sguardo dell’opinione pubblica va focalizzato sulle conseguenze del rifiuto di praticare aborti – conseguenze (peraltro false) sempre molto “sensibili” (portafoglio e salute). Perciò in questione non è più la natura dell’atto al quale ci si oppone, ma le ripercussioni dell’opposizione sull’efficienza sanitaria e sull’economia.

In quali contesti politico-sociali la Storia ci insegna che si attuano i mutamenti di linguaggio e le strategie di “distrazione di massa”? La risposta è facile: sotto i regimi totalitari.

Vincenzo Gubitosi

Pubblicato su La Verità 9/8/2018

 

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