16/01/2020

Eutanasia e suicidio assistito: le ragioni degli obiettori

Le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai medici obiettori. La decisione della Consulta dello scorso 25 settembre, da un lato ha escluso la punibilità dell’operatore sanitario che si rifiuti di mettere fine alla vita del suo paziente, tuttavia, è stato spiegato nelle motivazioni diffuse un paio di mesi dopo, «resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi o ad esaudire la richiesta del malato».

Una disposizione che, c’è da immaginarlo, avrà creato qualche grattacapo ai Radicali e a tutti i sostenitori della “dolce morte”. Si stima, infatti, che il numero dei medici obiettori oscilli tra il 75% e l’80%: percentuali che, in linea teorica, potrebbero ridimensionare in modo determinante l’applicazione della sentenza e la libera pratica del suicidio assistito.

Gli operatori sanitari italiani, in definitiva, sono divisi in quattro categorie: coloro che sono personalmente favorevoli ad eutanasia e suicidio assistito e, al tempo stesso sono contrari all’obiezione di coscienza; coloro che li praticherebbero ma che rispettano l’obiezione di coscienza dei colleghi contrari; gli obiettori che tollerano le pratiche eutanasiche; gli obiettori che si battono perché eutanasia e suicidio assistito non diventino mai legali.

Quali sono, tuttavia, le reali ragioni dei medici obiettori? «Il medico ha per missione quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze – ha dichiarato un paio di mesi fa, in un convegno a Parma, Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri (Fnomceo) –. Quello del suicidio assistito è quindi un processo estraneo a questo impegno. Un compito ricco di un’esperienza millenaria ma anche moderna poiché incarna nell’agire professionale i principi della Costituzione (Art. 32 in primis)».

In una «società pluralista», la posizione dei medici obiettori è quella di «curare tutti senza discriminazione alcuna secondo scienza e coscienza, a prescindere da credi religiosi, filosofici, culturali, rispettando il diritto del cittadino all’autodeterminazione anche nei casi di suicidio, così come previsto dalla Corte Costituzionale. Ma se è un alto diritto la possibilità di scegliere autonomamente e liberamente sulla propria salute, assicurata dall’obiezione di coscienza – sostiene Anelli – lo stesso principio deve poter valere anche per il medico che si considera fermo sostenitore della tutela della vita». L’impostazione di Anelli è piuttosto sfumata: no all’abbandono terapeutico, sì alle cure palliative e alla sedazione profonda, sì al rispetto della volontà del paziente, ma contrarietà a qualunque «atto fisico di somministrare la morte».

Contrari ad eutanasia e suicidio assistito senza se e senza ma sono invece i 4000 membri dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI). Una posizione motivata, prima ancora che dalla fede religiosa, dall’aderenza ai principi deontologici, il cui fondamento più antico è il Giuramento d’Ippocrate. «Il codice deontologico e la prassi medica – ha sottolineato a tal proposito il vicepresidente dell’AMCI, Giuseppe Battimelli – non prevedono di favorire in qualsiasi caso la richiesta di morte del paziente, e questo non vuol dire che i malati gravi non debbano essere accompagnati nel fine vita attraverso le cure palliative e tutte le possibilità scientifiche, professionali e umane in nostro possesso. Si dà la giusta dignità senza nessun accanimento terapeutico».

Secondo Battimelli, è proprio l’avverbio “medicalmente”, associato a “suicidio assistito” che stravolge il concetto di assistenza medica, permettendo che «nell’armamentario terapeutico entri un farmaco letale». Un «vulnus» che determinerebbe «un grandissimo disagio nella professione e nella pratica clinica», ha rimarcato il vicepresidente dell’AMCI.

Non sono soltanto i principi etici a dissuadere i medici dal praticare l’eutanasia: una componente decisiva è determinata anche dall’esperienza accanto ai pazienti. A fronte di episodi ai limiti del miracoloso o, quantomeno, di guarigioni e recuperi insperati e contro ogni previsione, in molti casi, è la realtà dei fatti a convincere un medico ad abbracciare con convinzione la causa pro life. Ultimo ma non ultimo: anche quei medici che hanno operato la sospensione dei sostegni vitali (o che direttamente o indirettamente sono stati testimoni di casi di eutanasia passiva) spesso prendono atto di quanto atroce e disumano sia morire per fame e per sete: non proprio una “dolce morte”, probabilmente inaccettabile persino per i sostenitori dell’autodeterminazione del paziente. Ovviamente di tutto questo i Radicali non vi parleranno mai…

 

di Luca Marcolivio

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.