Ha scatenato sconcerto la sentenza del Giudice monocratico della sesta sezione del Tribunale di Roma, con la quale è stato assolto un trentunenne romano accusato a dicembre scorso della detenzione di una quantità pari a 2.622 dosi di GBL, meglio conosciuta come droga dello stupro.
Nella motivazione viene spiegato dal giudice che l’imputato «ne avrebbe fatto uso per affrontare i suoi problemi psichici», dunque la detenzione non avrebbe avuto come scopo lo spaccio, come era stato sospettato al momento dell’arresto, perciò «il fatto non sussiste».
Non ha tardato ad arrivare la reazione del Governo, in particolare del dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, che in una nota esprime il suo sconcerto per quanto è accaduto: «Un approccio serio e scientifico suggerisce che i problemi psichici, e non solo quelli, con l’uso di stupefacenti peggiorano, oltre a produrre danni verso altri, incolpevoli. Un approccio serio e scientifico è richiesto a tutti, a cominciare dai giudici. Questo dipartimento è pronto a fornire collaborazione e consulenza aggiornata a chiunque le richieda».
Sono apprezzabili le parole del Dipartimento, ma resta il fatto che questa sentenza rischia di creare un pericoloso precedente. Applicare una giustizia “a maglie larghe” nei confronti dei detentori di sostanze stupefacenti, qualunque sia la ragione che essi portano a giustificazione, potrebbe agevolare la discussione a favore della legalizzazione delle droghe, leggere e non, ma non solo.
Come specificato anche dal Dipartimento, l’uso degli stupefacenti crea danni anche verso altri incolpevoli, e sappiamo i terribili danni che possono essere cagionati dalla sostanza in questione.
Nonostante sia stato assolto per questo caso, il 31 enne resta ancora detenuto in carcere fino a gennaio, quando si svolgerà un processo per stalking: secondo l’accusa, lasciava davanti alla casa di una ex fidanzata un percorso di sassolini, affinché potesse tornare da lui.