21/08/2020 di Francesca Romana Poleggi

Donne generose, madri surrogate vive e morte (parte prima)

Come funziona la “gestazione per altri” in Paesi molto “civili” dove le donne, più o meno pagate, sono spinte a prestare l’utero da spirito altruistico. (Articolo tratto da Notizie Pro Vita & Famiglia, n.84, aprile 2020

Premessa

L’associazione Luca Coscioni, con l’associazione Certi Diritti, e con le Famiglie Arcobaleno da un lato, e il portale di informazione giuridica Articolo 29 dall’altro, hanno elaborato due proposte di legge tese a regolamentare la pratica dell’utero in affitto. Anzi, la pratica dell’utero “in comodato”, cioè la “gestazione per altri solidale” o “maternità solidale”, o “gravidanza di sostegno”. Lo scopo è dare un figlio alle coppie “disperate”, impossibilitate a procreare per sterilità o per “questioni di genere” (cioè perché sono due maschi). 

Secondo queste proposte, lo Stato, attraverso i giudici, vigilerà assiduamente e strettissimamente sullo svolgimento della gravidanza, assicurando che non ci sia sfruttamento né mercificazione della donna. Donna che - si presume - conceda il suo utero per farsi impiantare un figlio che poi regalerà - davvero gratis et amore Dei - ai committenti (detti di solito “genitori d'intenzione”: le virgolette sono d’obbligo, perché chiamare “genitori” due che comprano o si fanno fare un figlio da altri ci sembra un insulto alla decenza e alla natura). 

Dall’esperienza dei Paesi dove è stata legalizzata questo tipo di “surrogazione solidale”, ci risulta comunque che poi, di fatto, un congruo “rimborso spese” ci sia sempre. 

Riservandoci di fare un’analisi più dettagliata di queste proposte se e quando saranno presentate in Parlamento (da esse ha preso le distanze perfino il segretario della Cgil Landini, che ha ospitato il convegno in cui le associazioni hanno illustrato i loro intenti), vogliamo offrire ai nostri Lettori la possibilità di farsi un’idea di come funzioni la “gestazione per altri” in Paesi molto “civili” come la California (dove è a pagamento), o l’Inghilterra (dove è gratuita, salvo rimborso spese): dove i giudici controllano, i cittadini sono liberi, i diritti sono garantiti. Vedremo quindi le testimonianze di donne emancipate, libere e non eccessivamente bisognose.

Prima di addentrarci in questa disamina, però, è necessaria una premessa. La pratica della surrogazione di maternità è assolutamente e radicalmente inaccettabile per un motivo di fondo: i bambini non si comprano, ma neanche si regalano. Lo abbiamo detto e ripetuto all’infinito. Il fatto che certe persone possano essere oggetto di contratto, che i figli possano essere oggetto di diritti, vuol dire che a loro non è riconosciuta la stessa dignità degli altri. Vuol dire creare una pericolosissima frattura nel principio di uguaglianza (tanto caro ai progressisti): chi decide da quando il bambino-oggetto verrà considerato soggetto? Sarà una questione di tempo? E il limite temporale potrà essere spostato avanti o indietro per legge? 

 

Parte prima: testimonianze dagli Usa

  

Jennifer Lahl ha da tempo definito la California «la capitale mondiale del turismo riproduttivo»: l’industria della fertilità fa soldi, tanti soldi, sulla pelle di donne meravigliose e generose cui viene detto che stanno facendo un grande gesto d’amore, «donando la vita». Perché le surrogate a pagamento, in America, di solito sono mosse anche da uno spirito altruistico, oltre che da un innegabile bisogno di denaro.

E dal Centro di bioetica e cultura, il Cbc, fondato e diretto da Jennifer Lahl, abbiamo appreso nel gennaio scorso della morte di Michelle Reaves, a San Diego, in California. 

La signora Reaves, giovane in ottima salute, moglie e madre di due figli suoi, aveva affittato l’utero per la seconda volta, alla stessa famiglia. La bambina che portava in grembo sta bene.

Inizialmente, i media hanno fatto molta fatica a spiegare la causa della morte. Il Cbc poi è venuto a sapere che si è trattato di un’embolia fluida amniotica.

Alcuni si sono affrettati ad affermare che la signora Reaves è morta per rischi connessi a qualsiasi gravidanza, non alla maternità surrogata. E certamente le embolie amniotiche, pur essendo rare, possono capitare a tutte, ma i rischi da gravidanza artificiale sono maggiori che nelle gravidanze naturali. Per esempio, le donne incinte di bambini assemblati in laboratorio da ovuli di terze persone rischiano tre o quattro volte di più l’ipertensione in gravidanza e la pre-eclampsia (la gestosi).

Inoltre, queste possibili complicazioni non vengono spiegate: i contratti di utero in affitto sono transazioni ineguali che comportano di solito la non adeguata informazione delle donne, comunque contraenti deboli rispetto alle grandi industrie della fertilità, sui rischi che corrono per la loro salute. 

Ma Michelle Reaves non è la prima surrogata a morire durante la gravidanza o il parto: Premila Vaghela, indiana, è morta a 30 anni nel 2012; Brooke Lee Brown, americana, è morta a 34 anni nel 2016. E chissà quante altre morti non sono state direttamente collegate all’utero in affitto, come dice anche la Sargentini nell’intervista a p. 14. Senza contare casi come quello di Brooke Verity Cochran, americana anche lei, deceduta per overdose a 37 anni nel 2017: non era riuscita a superare la profonda depressione post partum in cui era piombata dopo essere stata separata dai quattro gemelli che aveva partorito per una coppia gay. Stessa depressione che colpì Elisa Gomez, anche lei separata dalla bambina che aveva partorito in violazione del contratto stipulato.  Va ricordata anche Madhumati Thakur, uccisa a 22 anni, in India, per essersi ribellata al racket che gestisce in quel Paese le surrogate.

 

Immediatamente dopo che il Cbc ha annunciato la morte della signora Reaves, Jennifer Lahl è stata contattata da un’altra donna che aveva affittato il suo utero, che ha raccontato di un’altra donna morta, nel 2017, sempre in California.

La Cbc ha promesso di non fare il nome di questa testimone. Ecco le sue parole. «Crystal Wilhite era una surrogata del mio gruppo, al Center for Surrogate Parenting. È morta nel febbraio 2017 per complicazioni post parto, avvenuto pretermine. Ci è stato detto che la colpa era stata dell'ospedale, invece alla fine ho scoperto che la causa della morte è stata un coagulo di sangue. Non posso fare il mio nome perché queste informazioni sono state apprese durante riunioni di gruppo e scambi di e-mail riservate. Ci è stato detto di non parlarne pubblicamente per rispetto della famiglia di Crystal. Temo che l’agenzia, una delle più grandi della California, mi farebbe causa se parlassi pubblicamente di questi fatti». 

Continua: «Ora sono una donna distrutta, che è stata usata e sfruttata con l’inganno e la menzogna. Mi dispiace moltissimo di averlo fatto. Pensavo di poter aiutare gli altri, guadagnando qualcosa per me. Ho imparato che quando “sembra troppo bello per essere vero”, molto probabilmente non è affatto bello. Ora ho aperto gli occhi sul fatto che si tratta solo di soldi, non si fa alcun bene ai bambini. Sono stata sfruttata, mi hanno mentito e ho provato tanta sofferenza e tanta angoscia. Oggi ho deciso di parlare in modo da poter salvare altre donne dal trauma e dalle ferite che ho dovuto subire io. Non esiste alcuna protezione contro lo sfruttamento delle donne che danno l’utero; nessun rispetto della loro vulnerabilità. La mia vita e la vita della mia famiglia non saranno più le stesse. Tutto è cambiato in peggio. Alle agenzie non importava nulla di me. Non ho “ampliato la mia famiglia” come speravo, come mi hanno fatto intendere. Mi sento usata e gettata. Il mio cuore si è per sempre spezzato, la mia famiglia è cambiata per sempre».

 

Qui invece parla Kelly Martinez, che ha sofferto di un’infezione post partum e di pre-empclasia (rischiando l’ictus) e che nonostante ciò è stata obbligata da contratto a viaggiare per risolvere i problemi legali connessi alla registrazione all’anagrafe dei bambini: «La prima coppia per cui avevo partorito mi ha contattata qualche tempo fa dicendomi che dovevo risolvere diverse questioni legali per rimuovere il mio nome dal certificato di nascita della bambina che risulta a Parigi. La bambina che ho partorito ora è divisa tra due persone che si sono separate, non cresce in una casa amorevole. Nessuno sa come stanno i gemelli che ho partorito per una coppia spagnola. Non ho mai saputo se i compratori, alla fine, li hanno accettati: erano due maschi, anziché un maschio e una femmina come loro avevano ordinato (e pagato). Penso quotidianamente a questi bambini e vorrei poter dire loro quanto mi dispiace di averli messi al mondo in questa situazione. Non so se sapranno mai di me. Prego solo che siano amati davvero».

(Continua dopodomani)

 

 




 
 
Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.