08/11/2019

Di obiezione di coscienza NON si muore. Si muore, a volte, di PMA?

Torna alla ribalta sui mass media la dolorosa vicenda che, nell'ottobre 2016, a Catania, ha portato alla morte per setticemia di Valentina Milluzzo, 32 anni, incinta di due gemellini ottenuti attraverso la fecondazione artificiale.

Come già notavamo a suo tempo, purtroppo c’è chi specula sui morti per attaccare il diritto inalienabile all’obiezione di coscienza.

Secondo i medici, si sarebbe trattato  di un aborto spontaneo settico, ovvero dovuto a infezione. L’obiezione di coscienza, quindi, non c’entra nulla. «Non c’è stata alcuna obiezione di coscienza da parte del medico che è intervenuto nel caso in questione, perché non c’era un’interruzione volontaria di gravidanza», ha detto il primario: uno dei due bambini è stato abortito spontaneamente, dell’altro è stato indotto il parto in tempi congrui.

Come ha scritto il dottor Renzo Puccetti, a suo tempo, «non è affatto scontato che in questi casi anticipare il parto o effettuare l’aborto sia di qualche beneficio». «Il bambino – infatti – non è la causa dell’infezione, ma subisce l’infezione che affligge anche la madre». «Indurre il parto in questi casi non è di alcun beneficio per la madre, anzi, sottoporla ad uno stress in condizioni di sepsi si può tradurre in un aggravamento delle condizioni della donna. L’unica eccezione è quando il focolaio infettivo è situato all’interno della cavità dell’utero (es. corionamniosite). In questi casi l’espletamento del parto è terapeutico per la donna, ma anche per il bambino se questi ha capacità di vita autonoma. In caso contrario lo svuotamento della cavità uterina non costituisce comunque un aborto diretto, ma ricadrebbe nella fattispecie dell’aborto indiretto. In questo caso infatti il medico non procura l’aborto direttamente, ma elimina il focolaio di partenza del male e la morte del bambino è un effetto previsto, ma non voluto. D’altra parte la gemellarità costituisce un fattore di rischio». Specie, aggiungiamo noi, se frutto di una fecondazione artificiale.

Del resto, lo stesso Corsera ammette che la Procura è decisa a insistere sull’omicidio colposo per errore medico, non su altro. Quindi: i medici dicono che l’obiezione di coscienza non c’entra, i giudici dicono che l’obiezione di coscienza non c’entra, ma tutti i giornali in coro titolano che “ si muore per obiezione di coscienza” perché il padre della morta - di cui comprendiamo il dolore e lo strazio - ricorda le parole del medico di turno: «Fino a quando sento battere i cuoricini non posso intervenire perché sono obiettore».

Se un medico avesse detto davvero una frase del genere, quel medico sarebbe un ignorante, nel senso che ignora che l’aborto indiretto (cioè non voluto, ma necessario per salvare la vita della madre) è moralmente lecito (anche per i cattolici più intransigenti!).

Ci chiedevamo allora e ci chiediamo ancora: non sarà che si criminalizza il diritto all’obiezione di coscienza per nascondere tutte le problematicità connesse con la fecondazione in vitro? La setticemia da cosa è stata causata?

Ma si sa: se c’è da dare addosso all’obiezione di coscienza sono tutti in prima fila. Se ci fosse da sollevare dubbi sulla sicurezza della fecondazione artificiale (che non è affatto scontata, né per le donne coinvolte – anche colei che riceve l’embrione nel grembo – né per i bambini, anzi…), allora tutti tacciono: nessuno osi danneggiare il grande business della provetta e l’ideologia che vi è sottesa.

Francesca Romana Poleggi

 

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