20/12/2012

Da una gemma sboccia la vita

Intervista a Mario Paolo Rocchi, uno dei fondatori del primo CAV e poi del Progetto Gemma: con l’adozione a distanza, in 18 anni, sono stati salvati almeno ventimila bambini.

Mario Paolo Rocchi, ingegnere elettronico, oggi ha 84 anni. Nella sua attività professionale ha collaborato tra l’altro al primo satellite sperimentale italiano di telecomunicazioni, il progetto S.I.R.I.O, del quale ha inventato anche il nome. Nel 1975, fu tra i co-fondatori del primo Centro Aiuto alla Vita (CAV). “Ci ritrovavamo – ricorda Rocchi – nella Basilica fiorentina di San Lorenzo, grazie all’ospitalità ed all’impegno di Mons. Giancarlo Setti, Priore mitrato dal 1973 al 1980. La nostra attività cristiana di aiuto alle madri fu subito conosciuta e divulgata, nonostante l’atmosfera di quegli anni, che era quella inaugurata dal confronto sul tema del divorzio. Per capirci: il bagaglio culturale di chi allora operava contro la vita nascente, era quello espresso da Adele Faccio, che l’anno seguente, insieme a Emma Bonino, sarebbe diventata deputato radicale: “abortire, diceva, è come ammazzare un gatto”.

In questo contesto, come nacque l’idea del CAV?

Volevamo evitare il coinvolgimento con la dimensione politica. Eravamo convinti che la questione sulla quale intervenire fosse quella di prevenire l’aborto volontario, garantendo che il dramma della donna non fosse vissuto in totale solitudine e abbandono. Il nostro desiderio e la nostra risposta concreta erano solo quelli di salvare i nascituri. Ad altri, lasciavamo i dibattiti, le discussioni, la politica. A noi interessava solo quest’obiettivo concreto, che fu compreso e recepito da due grandi personalità: il professor Enrico Ogier, primario di ostetricia e ginecologia all’Ospedale Careggi e docente di patologia ostetrica all’Università di Firenze e il filosofo Luigi Lombardi Vallauri, il quale prima di mutare atteggiamento nei confronti della verità cristiana insegnata dalla Chiesa Cattolica, ci insegnò l’enorme valenza dei principi del diritto naturale, che valgono per tutti e ciascun essere umano, credente e non credente, ateo o agnostico. Mi piace ricordare che a quella nostra iniziativa aderì con entusiasmo anche il rabbino di Firenze.

Dalla nascita del primo CAV fiorentino, i Centri di Aiuto alla Vita, che fanno capo al Movimento per la Vita, hanno salvato oltre 130mila bambini e hanno assistito circa 500mila donne, coinvolgendo oltre 4mila operatori volontari e 70mila sostenitori. Veniamo al Progetto Gemma. Come nacque e perché questo nome?

Siamo nel mese di ottobre del ’93. La mia idea di fondo era di evitare l’assistenzialismo e di coinvolgere singoli o gruppi di persone nell’aiuto verso un singolo essere umano in pericolo di essere ucciso con l’aborto, attraverso l’adozione a distanza prenatale. Ne parlai e poi ne scrissi a Francesco Migliori, storico presidente di Vita Nova dal 1985 al 2002, Silvio Ghielmi, tra i fondatori di Mani Tese e Giuseppe Garrone. Persone di grande spessore culturale e di grande levatura morale. Migliori e Garrone, purtroppo, non ci sono più. Insieme a noi, “lanciò” il progetto, Mons. Michel Schooyans, autore, tra l’altro, de ‘Il terrorismo dal volto umano’. Per il nome, mi aiutò il vocabolario Devoto: lo zigote è una gemma di un fiore che diventa frutto e la gemma è una cosa preziosa, da preservare. Da queste considerazioni, nacque il nome del “Progetto Gemma. Adozioni a distanza prenatale”. Quella gemma nel grembo di una madre sarà salvata, se qualcuno fornirà l’aiuto necessario ad evitare la sua soppressione.

Come funziona il progetto?

La mia idea, che non aveva precedenti in altri paesi e che fu possibile anche solo pensare proprio perché già esisteva la rete dei Centri di Aiuto alla Vita, era quella di salvare vite umane. Chi intendeva farlo, attraverso Vita Nova, inviava allora 360mila lire al mese (oggi, 180 euro), per diciotto mesi alla madre o alla famiglia che così era messa in grado di far nascere il bambino, rispettando l’anonimato reciproco. Vita Nova aveva un database e riceveva le segnalazioni urgenti attraverso la rete dei CAV. Il progetto fu presentato nel ’94 al primo convegno dei CAV, pochi giorni dopo la beatificazione di Gianna Beretta Molla.

Quante vite umane ha salvato questo progetto in 18 anni?

Anche grazie alla rete dei CAV, ormai oltre 300 in tutt’Italia, che fanno le segnalazioni delle madri in difficoltà, 15.250 persone o gruppi in questi anni hanno offerto il loro aiuto economico per 18 mesi al fine di salvare le ‘gemme’. Almeno 20mila vite sono state salvate. Chiunque può fare le adozioni: singoli, famiglie, gruppi parrocchiali, di amici o di colleghi, comunità religiose, condomini e classi scolastiche. Hanno aderito al Progetto anche Consigli comunali e perfino gruppi di carcerati. Spesso l’adozione viene proposta come dono per matrimoni, battesimi, nascite o in ricordo di una persona cara.

Sono molti i cattolici che sembrano “accontentarsi” della piena applicazione della legge 194 e non vogliono sentir parlare né di  un’eventuale iniziativa abrogazionista né di affermazioni libere e spontanee contro il “diritto all’aborto”. Cosa pensa di questa posizione?

Non c’è dubbio che l’invadenza delle dimensioni del dibattito politico nella questione dell’aborto (diritto, non diritto…), rende estremamente difficile quello che ritengo assolutamente necessario: un’azione culturale che faccia capo alla coscienza delle persone e in termini socio-politici anche alla sovranità popolare. La capacità della coscienza sociale di avere peso nelle decisioni relative alla giustizia, è messa in discussione anche da sentenze folli come quelle relative al caso Eluana Englaro.

Lei ha partecipato all’ultima edizione della Marcia per la Vita. Quale significato ha, a suo parere, un’iniziativa di “massa” di questa natura?

Intanto, desidero dire che è un’iniziativa straordinaria, perché intende riunire il popolo che vuole concretamente difendere la vita. Sempre. In concreto, io vedo nelle Marce per la Vita la premessa di un’azione culturale di cui le dicevo prima, che tra l’altro in Italia può anche avvalersi di due strumenti democratici, che fanno capo direttamente alla sovranità popolare, che è alla base della Costituzione: il primo è il referendum abrogativo, che però ha il difetto di privilegiare un “no” invece di un “invece”; il secondo è la proposta di legge d’iniziativa popolare. Quest’ultima mi è molto cara, perché proprio quando si discuteva negli anni settanta della legge sull’aborto, in un mese si raccolsero un milione di firme per la proposta di legge d’iniziativa popolare, soprattutto attraverso il movimento dei Focolarini e il Cardinal Benelli. Io penso che è arrivato il momento di ragionare e di operare perché questi due strumenti siano praticati per difendere la vita umana e per dare un messaggio chiaro alla politica e ai politici.

di Danilo Quinto

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