03/07/2017

Ci sono altri Charlie: c’è posto per loro solo al Gemelli?

Anche la Chiesa è intervenuta ufficialmente chiedendo che ai genitori di Charlie venga concesso di «accompagnarlo e curarlo  fino alla fine»: così si è espressa la sala stampa vaticana.

Quindi, mentre si moltiplicano le iniziative spontanee di preghiera in tutto il mondo e in tutta Italia, l’appello è più forte che mai: non uccidete Charlie. Non abbreviate la sua vita che è già destinata ad essere breve.

Inoltre, «Le strutture cattoliche, come il Gemelli o il Bambin Gesù, o altre strutture simili, sarebbero ben disposte ad accogliere questo fanciullo per potergli dare vita», ha dichiarato don Carmine Arice, Direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei e membro della Pontificia commissione per le strutture sanitarie.

Noi sappiamo che l’Hospice del Gemelli, per esempio,  è una struttura d’eccellenza nella confort care” cioè nella cura e nel sostegno dei piccoli malati terminali o destinati comunque a vita breve e delle loro famiglie.

Charlie_eutanasia_vita-minPer ora Charlie non è un malato terminale: per questo vogliono terminarlo. Perché non si sbriga a morire. La logica spietata di quelli che si sono lasciti conquistare dalla cultura della morte è che il suo “best interest” sia morire quanto prima.

Ma per i bambini come Charlie, c’è posto solo negli ospedali cattolici?

Infatti, si apprende che a Londra c’è un altro bambino, come Charlie, che è stato destinato a morire presto. Scrive Il Giornale:«Sir Jonathan Baker, responsabile della sezione minori dell’Alta Corte di Giustizia di Fleet Street a Londra, ha emesso il suo verdetto. Così un bambino di tre mesi, di cui non si conosce il nome, è condannato. Il piccolo, affetto da danni cerebrali irreversibili, non verrà sottoposto ad una nuova chirurgia né rianimato nel caso venga colpito da un arresto cardiaco.

Una decisione arrivata nottetempo, al termine di un’udienza straordinaria, presa “nel supremo interesse del minore”. Le condizioni del bambino, ricoverato a maggio scorso, sono peggiorate. Il suo cuore potrebbe smettere di battere da un momento all’altro. Allora, asseriscono le toghe in accordo coi dottori, bisogna lasciarlo andare. Lo dice anche un “tutore” incaricato di rappresentare “in modo indipendente” gli interessi del minore. Come fosse un orfano. Invece i genitori ci sono. Di loro si sa soltanto che sono originari dell’Africa. E che non sono d’accordo.»

D’accordo: il confine tra cure palliative e accanimento terapeutico a volte è sottile. In questo secondo caso non abbiamo elementi sufficienti per dare un’opinione.

Ma nel sistema mortifero e totalitario che stiamo imparando a conoscere, il parere dei genitori non conta più, conta solo la logica dello Stato.

Prima ancora che con la legalizzazione formale dell’eutanasia, i paesi “civili” hanno aperto le porte alla cultura della morte con l’ordine dei giudici di non mettere i progressi della medicina e della tecnica a servizio di coloro che hanno “una vita non degna di essere vissuta”.

Attenti: per un motivo o per un altro potremmo tutti finire nella lista.

Redazione

 


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