23/12/2019

Anche gli abortisti hanno paura dell’auto-aborto indotto chimicamente

Il tema dell’aborto, soprattutto negli Stati Uniti, è molto ampio, così come complessa è la discussione tra chi è favore e chi è contro. Un aspetto particolare e non sempre conosciuto è poi quello dell’auto-aborto, ovvero dell’interruzione di gravidanza che le donne possono indursi autonomamente e in modo chimico, tramite l’assunzione di alcuni farmaci.

La retorica degli abortisti parla di una forma di aborto semplice e sicura, che le donne appunto possono portare avanti da sole. La realtà è però ben diversa, poiché – come raccontava un articolo di National Right to Life News già qualche mese fa – gli stessi sostenitori dell’aborto ammettono che molte donne che non possono accedere alle strutture cliniche sarebbero in pericolo se provassero ad abortire autonomamente.

Le preoccupazioni sulla sicurezza e la vita delle donne risalgono ad uno studio dello scorso aprile, pubblicato sulla rivista Contraception e intitolato“Esperienze e opinioni dei fornitori di aborto sull’aborto farmacologico autogestito, uno studio esplorativo”. Tra luglio e settembre 2017, alcuni ricercatori dell’Università dell’Iowa hanno condotto un sondaggio online sui membri della Society of Family Planning, dell’Association of Reproductive Health Care Providers e della Abortion Care Network, chiedendo informazioni sulle loro esperienze e opinioni sul cosidetto “;aborto autogestito”.

Degli intervistati oltre il 55% era marcatamente abortista e di questi, più di tre quarti hanno indicato che molte donne usano mifepristone (RU-486) ​​o misoprostol, i farmaci per l’aborto attualmente venduti negli Stati Uniti, ma legalmente disponibili solo attraverso un abortista che soddisfa determinate condizioni stabilite dalla Food and Drug Administration (FDA).

Da qui è dunque emerso che moltissime donne assumono soprattutto il misoprostol servendosi al mercato nero o ordinando pacchetti di farmaci su internet, che vengono fabbricati e arrivano dall’estero, in totale mancanza di controlli. Un’assenza di sicurezza che in effetti ha portato molte donne ad avere e confessare di aver avuto delle complicazioni, come lo stato di aborto incompleto, emorragie, infezioni e rotture uterine.

Dati preoccupanti, confermati dal fatto che in tutto l’arco dello studio l’aborto “incompleto” è stato menzionato così frequentemente come complicazione che il fallimento di questa pratica appare un problema molto più grande e molto più serio di quanto i suoi sostenitori vorrebbero far credere.

 

di Salvatore Tropea

 

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