08/08/2015

Aborto fallito: genitori chiedono il risarcimento dopo 15 anni

L’aborto è stato così banalizzato e sedimentato nell’inconscio della gente, che molti non si rendono conto di cosa realmente sia. L’accecamento di alcuni è spaventoso: si è persa l’umanità, si è smarrita la via, si è piombati nell’abbrutimento.

La storia che riporta La Stampa ha dell’incredibile ed è agghiacciante.

Marito e moglie hanno denunciato l’ospedale in cui un medico, ben quindici anni fa, per errore non è riuscito a sopprimere l’embrione che stava nel grembo della donna. I due vivevano in provincia di Alessandria e avevano un figlio già grande ma ancora disoccupato quando, nel 2000, si accorsero di aspettare un altro figlio. Pur conducendo una vita dignitosa, non se la sono sentita di affrontare un’altra gravidanza, anche perché erano un po’ in là con gli anni. Oltretutto, avendo diagnosticato alla donna un fibroma, i medici avevano consigliato l’IVG. Così i due sono ricorsi convintamente all’aborto.

Storie del genere, purtroppo, sono innumerevoli. E la nefasta legge 194 permette tutto ciò in nome della salute psico-fisica della madre: in pratica, qualsiasi scusa è buona per ammazzare quel “grumo di cellule” indesiderato che si è annidato nell’utero. E quante volte le diagnosi dei medici risultano infondate... Quante volte si parla di gravidanze a rischio quando poi invece si concludono con esito positivo... Quante volte si abortisce per mero egoismo... nel silenzio-assenso generale.

Ebbene, nonostante il raschiamento, l’embrione o, meglio, il feto in questione è rimasto ostinatamente attaccato alla mamma. Quando, tempo dopo, in un altro ospedale, è stata confermata la gravidanza, anziché gridare al miracolo e ravvedersi per il male che si era fatto, anziché scoppiare a piangere e accogliere quella vita innocente, si è freddamente e amaramente constatato che ormai si era alla ventunesima settimana e l’aborto non era più possibile per legge. E nel 2001 è nata senza problemi quella bambina, completamente sana: oggi ha 14 anni. Ma a quanto pare resta indesiderata.

All’epoca, il padre ha dovuto cambiare lavoro e trasferirsi, portando con sé tutta la famiglia. Insomma, c’è stato qualche problema economico, come del resto può capitare a chiunque. “Colpa di quell’aborto malriuscito e della nascita non programmata se si era dovuto tirare la cinghia, fare sacrifici, rinunciare ai legittimi svaghi del tempo libero, alle piccole gite nei weekend, alle uscite con gli amici il sabato sera? Secondo i coniugi sì”, riporta il quotidiano di Torino. Restiamo raggelati nel leggere tali espressioni. La vita di una figlia vale forse come le piccole gite o le uscite con gli amici? Vorremmo si trattasse di un racconto di fantasia. Invece è tutto vero e reale.

Così, la mamma ha fatto causa all’ospedale, reo di un errore imperdonabile: aver salvato (rectius: non essere riuscito a uccidere) una vita umana innocente, la vita di sua figlia. La vicenda si è chiusa con una transazione e il riconoscimento di una somma risarcitoria. Bludental

Nel 2008 però, anche il padre ha ritenuto di aver diritto a un risarcimento perché pure lui avrebbe subìto un danno psicofisico dalla nascita indesiderata che era stato costretto ad accettare. Pertanto ha denunciato l’ospedale per ottenere un “risarcimento dei danni da nascita indesiderata” che, in una famiglia monoreddito, ha comportato ripercussioni “sulla vita di relazione” sconvolgendo “l’esistenza privata e lavorativa come era stata programmata” dai coniugi. Tuttavia, finora il giudice di primo grado, ad Alessandria, ha respinto la richiesta e altrettanto ha fatto la Corte d’Appello. Ma il pover’uomo non si rassegna e aspetta il pronunciamento della Corte di Cassazione.

Come rileva la giornalista de La Stampa, anch’ella allibita da questa vicenda, la cosa più difficile non sarà spiegare chi ha ragione tra i contendenti. “Più arduo sarà spiegare alla figlia, un giorno o l’altro, che il fatto che lei sia nata, bella e sana, non è stato considerato un miracolo della vita, ma un danno da risarcire”.

Federico Catani

DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’

 

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