02/05/2019

Si risveglia dal coma dopo 27 anni, la vita esce dal buio

È un’incredibile storia di speranza quella di Munira Abdulla, una donna di 59 anni risvegliatasi dal coma dopo ben 27 anni in cui era stata dichiarata in stato vegetativo. Nel 1991 Munira aveva subito un grave incidente: la macchina su cui viaggiava si scontrò con un autobus e la donna, all’epoca trentaduenne, si gettò in avanti proteggendo il figlio dall’urto con le braccia e rimanendo gravemente ferita.

Subito dopo venne trasferita a Londra, dove fu dichiarata in stato vegetativo, poi riportata ad Al Ain, la sua città, negli Emirati Arabi. Lì venne curata in diverse strutture per poter essere tenuta in vita e veniva alimentata grazie a un tubo mentre alcuni infermieri e fisioterapisti le facevano praticare degli esercizi specifici per non far deteriorare i muscoli fermi ormai da anni. La sua drammatica situazione subì una svolta importante nel 2017, quando il principe ereditario di Abu Dhabi decise di pagare alcuni trattamenti specifici in Germania che le avrebbero garantito una maggiore percezione ambientale. E proprio in un ospedale tedesco è avvenuto il suo risveglio, lo scorso giugno. È suo figlio Omar a ricordare con commozione quell’ importantissimo momento, sottolineando come sia stata proprio la voce di sua madre a svegliarlo mentre dormiva accanto al suo letto: «Ha iniziato a chiamarmi. Ho sognato quel momento per tutti questi anni, e la prima cosa che ha detto dopo 28 anni è stato il mio nome».

La donna, che nel frattempo ha subito diversi interventi chirurgici per ricostruire i muscoli di braccia e gambe, grazie agli esercizi compiuti in ospedale, oggi è in grado di pregare, avvisare nel momento in cui percepisce un dolore e tenere una conversazione. E il motivo per cui suo figlio ha deciso di condividere la storia di sua madre è proprio la speranza in un miracolo, che non l’ha mai abbandonato e che, infatti, si è poi verificato: «La ragione per cui ho condiviso la sua storia è per dire alla gente non perdete la speranza, non considerateli morti quando si trovano in questo stato. Per anni i dottori mi hanno detto che era un caso senza speranza e che non c’era motivo per il trattamento che stavo cercando per lei, ma ogni volta che mi trovavo in dubbio, mi sono messo al suo posto e ho fatto tutto il possibile per migliorare le sue condizioni».

Una storia che fa seriamente riflettere su quelle leggi mortifere che vorrebbero la soppressione quasi immediata di quei pazienti considerati “senza speranza”, così come era considerata Munira. È una  mentalità utilitaristica basata sul criterio della “qualità della vita”, in alcuni casi considerata addirittura “indegna di essere vissuta”, che oggi rischia di prendere piede anche nelle strutture sanitarie del nostro Paese, grazie alla legge sul biotestamento approvata due anni fa e che contiene un assoluto abominio e cioè la cancellazione dell’obbligo di somministrare due beni primari come acqua e cibo, nel caso in cui tale somministrazione avvenga con l’ausilio di dispositivi medici. Se una tale mentalità fosse prevalsa nel caso di Munira e probabilmente in tanti altri casi, oggi non saremmo qui a raccontare questo straordinario miracolo.

Manuela Antonacci

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