07/08/2014

Omofobia e ignoranza: leggiamo Platone per davvero

Non è possibile che oggi, nel terzo millennio d.C., quando tutti hanno a portata di click quasi tutto lo scibile umano, ci siano ancora persone che si fanno una cultura “per sentito dire”, totalmente acritica, infarcita di bestialità.  Una volta le maestre mettevano i ragazzi che non studiavano dietro alla lavagna, con le orecchie d’asino. Oggi, non si fa più: non tanto perché è umiliante, quanto perché dietro la lavagna non c’è posto per tutti quelli che dovrebbero starci (a cominciare da tanti maestri).

Per amor di verità e per amore della dignità delle persone che non fanno una bella figura a dire panzane e a scriverle in giro sul web, oggi consentitemi una piccola e facile lezione di letteratura greca, su Platone.

Premetto che chi scrive è la prima fra gli ignoranti. Ma ha la fortuna di essere consapevole delle sue mancanze, perciò,  prima di  “dire”, legge, cerca di capire e magari anche di ragionare. E così rispolvera tra i vecchi libri del liceo, il Simposio, le Leggi e la Repubblica di Platone, il grande, antico, filosofo greco (nato e morto ad Atene più o meno tra il 428 e il 348 avanti Cristo).

Antonio Socci, già due anni fa, aveva spiegato e illustrato molto meglio di me queste considerazioni sulla morale naturale, che è ed è sempre stata, molto prima del Cristianesimo: chi non ha voglia di andarselo a vedere, può seguitare la lettura più semplice e breve delle opere di Platone suddette, che farò qui io.

Tra le tante balle che girano su Platone, ripetute a pappagallo anche da persone con una certa cultura, c’è quella che nel Simposio (uno dei dialoghi socratici) egli si presenti come paladino ante marcia della ideologia omosessualista secondo la quale si nasce tutti “mezzi” maschi, o femmine e si cerca la completezza in un altro “mezzo”: o maschio – femmina, o maschio – maschio, o femmina – femmina. Questo è l’amore (si parla di Eros). Tale teoria è espressa da uno dei dialoganti, Pausania.

Prima di proseguire, bisogna sapere che i Dialoghi normalmente sono strutturati così: qualcuno propone un tema, ognuno degli astanti dice la sua, poi arriva Socrate (è un po’ difficile scindere il pensiero di Socrate da quello di Platone, perché il maestro non ha lasciato niente di scritto e quello che lui diceva lo sappiamo praticamente solo dagli scritti dell’allievo) e “tira fuori” (anzi, come una levatrice, fa “partorire”) la Verità.

Ebbene: nel Simposio, Socrate-Platone  dice che Pausania e gli altri non hanno capito niente: l’amore non è ciò che loro credevano (l’attrazione dei “mezzi” verso il “complementare”), ma piuttosto l’attrazione che l’anima umana ha per la perfezione e per l’Assoluto. 

 

Andando a leggere con attenzione, poi, il discorso di Pausania, vediamo che a un certo punto questi parla della capacità dei maschi di amare che è superiore a quella delle donne. Qui molti dicono che egli stia elogiando l’amore omosessuale (sempre Pusania, però, non Socrate-Platone). A leggere bene, però, non c’è da esserne proprio sicuri: parla di amore DEI maschi e non  TRA I maschi.  Per di più dal contesto si capisce chiaramente che questo Pausania era un maschilista, piuttosto che un omosessualista, in quanto ritiene le donne inferiori agli uomini, anche nella capacità di amare (depreca l’eros dell’ “Afrodite volgare”, che è delle donne; mentre l’Eros dell’ “Afrodite celeste” è prerogativa dei maschi).

Ma, se ancora  a questo punto l’interpretazione del pensiero di Platone lasciasse spazio a qualche dubbio in senso “filo – omosessualista”, andiamo a leggere le Leggi: qui Platone si rivela dichiaratamente “omofobo” (meno male che non c’era la legge Scalfarotto, ai suoi tempi): dice, infatti, che bisogna rispettare le leggi di natura per conquistare la virtù, condanna i rapporti sessuali che non siano tra uomo e donna adulti, al fine di procreare; critica quelli che  hanno “corrotto la norma antica e secondo natura relativa ai piaceri sessuali” e dice che “ il piacere sessuale è stato dato secondo natura sia alle femmine che ai maschi perché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere”.

La legge, secondo Platone, deve indurre i cittadini a vivere nella castità e nel dominio di sé. E se proprio alcuni non resistono all’attrazione dei piaceri contro la legge naturale “sia presso di loro cosa bella compiere di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto”.

Ultima nota, sulla condanna della pedofilia. Nella Repubblica (un’altra fondamentale opera di Platone) c’è scritto che la legge deve comandare al maestro che “prova affetto (erastés) per il suo discepolo (ta paidikà)” che “lo ami e lo accompagni e lo tocchi come farebbe un padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la contemplazione e la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare che si vada oltre questi limiti”.

La famiglia fra uomo e donna è il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà e di tutti i popoli, da sempre. E’ ovvio, è banale. Ma a dirlo, oggi, si viene tacciati di omofobia. Per fortuna anche Platone è dei nostri.

Francesca Romana Poleggi

 

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