10/03/2021 di Manuela Antonacci

Niente stipendio e citata per danni. Ecco i dettagli dell’assurda vicenda della pallavolista Lara Lugli

La festa della donna è passata da qualche giorno e, come ogni anno, c’è stato un gran parlare di diritti delle donne (ma sempre e solo secondo una certa visione ideologica e politica) ed ecco che, tra i fatti di cronaca più recenti, ci imbattiamo in uno di quei casi di discriminazione, presi ancora sotto gamba dalla nostra società, quei casi che non vengono citati neanche nei cahier de doléance che ogni anno le femministe presentano a suon di slogan nelle loro manifestazioni.

È la storia di Lara Lugli, giocatrice di pallavolo che, nel campionato 2018/2019 mentre giocava per la Asd Volley di Pordenone, in B-1 “osa” rimanere incinta. Il 10 marzo lo comunica alla Società e come prassi, il suo contratto si risolve. Purtroppo, un mese dopo, perde il bambino e in più lo stipendio di febbraio, mese durante il quale aveva lavorato regolarmente, non le viene mai inviato. Dopo diverse richieste è costretta a ricorrere ad un avvocato, che invia alla Società un’ingiunzione di pagamento. Ma oltre il danno, anche la beffa perché, anziché vedersi arrivare subito lo stipendio che le spettava di diritto, si vede, al contrario recapitare l’atto di citazione, in opposizione al decreto ingiuntivo, in cui la Società accusa l’atleta di danni subiti, in seguito alla sua scelta di diventare madre, ovvero un calo generale delle prestazioni della squadra.

Ma è necessario, per capire ancora meglio la gravità delle rimostranze manifestate dalla Asd di Pordenone, entrare nel dettaglio delle recriminazioni: alla giocatrice si rimprovera che dato che, al momento della stipula del contratto, aveva “ben” 38 anni, la società dava per scontato, per la sua età, che evidentemente considera ridicolmente “veneranda”, che fosse troppo tardi, per lei, per poter pensare ad un’eventuale gravidanza e che, per questo, avrebbe dovuto preoccuparsi di informare per tempo la società.

Una situazione di una violenza e di una gravità inaudita, in quanto si associa deliberatamente e a cuor leggero, l’idea della maternità ad un “danno”. Un episodio in cui non ci si fa scrupolo ad avanzare delle pretese sul corpo di una donna, quasi “indagandolo”, per stabilire se sia il caso o no, se sia il momento giusto o no, per pensare ad una gravidanza

E’ stata Lara Lugli stessa a spiegare ciò che l’ha più ferita in questa situazione: “Il sentirmi giudicata per la mia età, per la scelta di avere un figlio a 38 anni, il sentirmi considerata inadeguata e inopportuna. Nessuna donna merita di sentirsi così, per questo ho deciso di pubblicare sui miei profili social l’atto di citazione della società, perché dobbiamo smettere di chiudere gli occhi di fronte a queste situazioni di sopruso, dobbiamo avere il coraggio di denunciare. Dopo averlo fatto mi sono arrivati un sacco di messaggi privati da parte di colleghe atlete cui è capitata la mia stessa situazione. Contratti interrotti, stipendi non pagati per una gravidanza giudicata fuori luogo, solo che nessuna ha avuto la forza e il coraggio di andare fino in fondo. Ho deciso di farlo io. Anche per loro”.

Dunque, una situazione diffusa e quasi all’ordine del giorno e ci chiediamo dove siano le femministe coi loro slogan violenti e le loro statue blasfeme, di fronte a tutto questo. E dove sia la politica delle “quote rosa” e che considera l’aborto o la somministrazione della Ru486 in day hospital grandi traguardi raggiunti in materia di “diritti” femminili. Come mai quando si tratta di fare qualcosa di concreto per salvaguardare reali situazioni di discriminazione, come questa, nessuno scende in campo? Il sospetto che viene è che si voglia diffondere una e solo una, idea precisa di donna e di femminilità che, ahinoi, evidentemente, non fa rima con “maternità”.

 

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