19/11/2021 di Manuela Antonacci

Pedopornografia. Parla il criminologo Romeo: «Ecco come e perché i nostri figli sono in pericolo»

Purtroppo la pedofilia e la pedopornografia non temono nemmeno il Covid-19.  Questa piaga non si è arrestata nemmeno durante il periodo della pandemia, in cui, al contrario, si è registrato un aumento esponenziale della fruizione di materiale pedopornografico online. Ne abbiamo parlato con Domenico Romeo, Criminologo presso Ancrim di Milano, Criminalista presso Acisf Reggio Emilia, docente di Criminologia presso il Master Criminologia Promethes Calabria e autore del libro “Operazione Oro Liquido” (Falco edizioni).

 

Professore, vogliamo analizzare i dati e le caratteristiche di questo fenomeno, in generale e durante l'attuale pandemia?

«La pandemia è stata un’occasione appetibile per variegate organizzazioni criminali nel mondo interessate anche a questo brutale fenomeno. Un fenomeno che non nasce, ovviamente, oggi, ma con la pandemia e con i lockdown prolungati ha avuto un’implementazione esponenziale. Fenomeno brutale legato ad altre fenomenologie criminali connesse: tratta degli esseri umani, sfruttamento, schiavismo e pedofilia. Partiamo subito col dire che la pandemia, secondo i dati e le narrazioni investigative prodotte da Europol, Interpol, Eurojust, ha provocato un quadro di riassestamento e subdoli accordi taciti fra le organizzazioni criminali di matrice nazionale e organizzazioni criminali di caratura internazionale. La pedopornografia, pertanto, rientra nel circuito della trasnazionalità, legata a cellule pronte ad agire. Il secondo aspetto da cui partire è legato ai canali dello sfruttamento: numerose bambine o adolescenti schiave, in periodo di pandemia, sono state prelevate con la forza in territori già colpiti da povertà, letteralmente sequestrate e destinate a mercati di sfruttamento. I lockdown sono stati periodi cruciali in cui, cellule specifiche, hanno agito in tal senso. Canali dello sfruttamento e della deportazione di bambine e adolescenti schiave, impiegate in rotte provenienti dal Corno d’Africa, Angola, Libia, regione del Sahel, Cina, Sudamerica, Guatemala, e che hanno trovato il porto di Rotterdam quale snodo di riferimento per l’Europa. La pedopornografia, inoltre, si avvale di un collante essenziale ovvero il cybercrime: il dark web che si può benissimo definire come il nodo gordiano del mercato della pedopornografia, il nucleo centrale, il pilastro in cui poggiano le organizzazioni. La pedopornografia, così come la pedofilia in genere, rientra in questo autentico mondo invisibile ed incontrollato.  Un mondo sommerso virtuale che ha generato in tempo di pandemia un fatturato illegale pari a cinque miliardi di euro (oltre il 30% in più delle medie trascorse)».

Quanto incide l'ipersessualizzazione dei minori in rete, dove circola ogni sorta di aberrazione, davvero alla portata di tutti?

«La rete costituisce una grande opportunità per tutti, ma è anche un luogo che costituisce mucchi selvaggi, piattaforme prive di regole anche se apparentemente controllate, interscambi di qualsiasi tipo. Un’opportunità, ma anche un rischio, perché in ogni cosa nella vita è importante verificare il rapporto fra utilizzo e finalità. L’accesso a facili contenuti per bambini o adolescenti è un settore da attenzionare, vigilare, scandagliare a dovere. Ovviamente non parlo solo da criminologo, ma anche e soprattutto da padre di due bambini. Il pericolo del bombardamento delle informazioni errate, distorte o aberranti, è proprio questo: che i percettori di queste informazioni non solo crescano con modelli assolutamente sballati, ma che si convincano sulla bontà e liceità di tali contenuti. Un relativismo mortale nelle sue ripercussioni psicologiche, un pericoloso spettro annebbiante che farebbe sì che le gioventù odierne, crescendo, assimilerebbero in forma seriale e passiva elementi distorti, impotenti al discernimento su ciò che è giusto e ciò che è nocivo, costruendo una coscienza assolutamente disturbata da queste informazioni letali. Da padre e da criminologo mi assumo la piena responsabilità di affermare che i figli vanno controllati (seppur non in forma asfissiante) soprattutto se possessori di dispositivi elettronici (tablet o cellulari). Così come è doveroso controllare le chat della scuola di cui fanno parte, o altre varie chat (palestre, calcio, scoutismo et similia). I contenuti legati all’ipersessualizzazione non solo possono essere acquisiti dal bambino, o adolescente, direttamente da fonti esterne o virtuali da cui ha accesso (come  Tik Tok e altri), ma possono essere trasmessi da altri coetanei che gravitano in determinate piattaforme virtuali (social, catene WhatsApp e così via). Vietare l’utilizzo di dispositivi elettronici è anche, a mio parere, sbagliato, perché tende a recidere un percorso di crescita. L’importante è vigilare sul corretto uso».

A volte si ha un approccio un po' ipocrita e moralista a questo problema, limitandosi a condannarlo. Questo basta? Nota qualche mobilitazione da parte delle autorità competenti a riguardo?

«E’ importante la sinergia fra scuola e famiglia, limitarsi a condannare il fenomeno non basta, ovviamente.  A volte capita nella vita che il male arriva prima dell’uomo, si prepara prima, è più veloce, ma questo non vuol dire che è più forte ed è invincibile. Anzi, tutt’altro. Le sinergie fra enti e famiglia sono essenziali, ma ricordiamoci che è la famiglia il punto di partenza, la prima grande società che accoglie i nostri figli ed è la famiglia che, oltre al dovere del controllo, è giusto che impianti la cultura del dialogo con il minore. Esistono delle norme specifiche atte al contrasto della pedofilia, della cyberpedofilia e della pedopornografia, così come esistono norme che, a livello investigativo, garantiscono le operazioni “undercover” (sotto copertura) finalizzate al contrasto e alla repressione della pedofilia in genere. Riguardo alle norme emanate dalle autorità competenti è giusto rilevare che negli ultimi anni si è cercato di contrastare il fenomeno attraverso l’emanazione di norme sempre più dirette. Ci sono, infatti, leggi che a vario titolo puniscono gli atti di pedofilia e pedopornografia a mezzo internet e puniscono l’abuso sessuale e lo sfruttamento sui minori, ma anche che indicano i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio per impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia. C’è persino una norma che ha istituito la Giornata Nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia. Le norme sono dunque ci sono e questo è il segno che esiste una presa di coscienza sia sociale che politica».

Però questa presa di coscienza non basta…

«No, non basta. La problematica è anche globale e culturale se consideriamo che esistono delle dottrine atte a sdoganare la pedofilia da perversione, o crimine, a “orientamento sessuale”. Una sorta di “finestra di Overton” palesemente criminogena. E’ impossibile creare reti di collegamento sociali e culturali finalizzate al contrasto della pedopornografia se non si combattono determinate aberrazioni ideologiche ed il problema, pertanto, parte da lontano (se consideriamo, ad esempio, che in taluni Paesi europei erano attive, fino a poco tempo fa, delle sette pedofile violentissime, aiutate dalla politica anche nella costruzioni di partiti ad hoc, cellule propendenti ad eliminare fisicamente chi si opponeva alle loro tesi e logiche perverse). Ricordiamo che l’abbattimento dell’anzidetta “finestra di Overton” passa anche da organizzazioni che di facciata rivendicano “diritti”, o pseudo tali, ma che di fatto sono autentiche lobby potentissime che esaltano principi legati alla coprofilia, necrofilia, pedofilia. Come non ricordare, anni addietro, nel cuore dell’Europa, la proposta vergognosa di istituire “la giornata dell’orgoglio pedofilo?” da parte di organizzazioni dichiaratamente propense a legalizzare questa pratica criminale? Il male è dunque presente, non bisogna abbassare la guardia, mai. La pedopornografia, pertanto, in quanto deriva umana, sociale e giuridica, non si nutre da sola e non è altro che la punta dell’iceberg di un fenomeno complesso in cui gravitano: malattia mentale, crimine, “shadow economy” (economia illegale sommersa) e anche ideologia. Ogni elemento può essere a se stante o coniugato ad altri. Le fattispecie non si presentano, molto spesso, in forma univoca e vanno analizzate caso per caso».

Come si potrebbe prevenire questa terribile piaga?

La via maestra ritengo sia sempre una: la prevenzione. Essa passa come cultura della comunicazione, del dialogo e dello studio del fenomeno, del rispetto delle regole sociali, della sinergia fra scuola e famiglia, o con organizzazioni sociali o associazioni a tema (sia di matrice religiosa, che laica). In assenza di cultura della prevenzione, basare tutto sulla sola repressione non può mai fare giungere risultati sperati e, in ottica sociale, non solo non serve praticamente a nulla, ma rischia di stimolare il fenomeno affinché si adegui sempre più ai tempi, a mimetizzarsi in variegati contesti e a complicare le successive opere di individuazione del male. La cultura è prevenzione e la prevenzione è cultura, oltre che arma straordinaria di crescita».

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