22/09/2022 di Francesco Comegna

Elezioni. Roccella (FdI): «Difesa maternità e rilancio della famiglia le priorità»

Eugenia Roccella, giornalista e politica italiana, ha alle spalle una storia di passione politica molto forte. Femminista e militante del Partito Radicale prima, strenua difensore dei valori pro-life e della famiglia poi, dopo un percorso di maturazione personale. Ha scritto diversi libri in cui si è occupata di storia, bioetica e politica, è stata nel 2007 portavoce del primo Family day, impegnandosi sempre in prima linea nella difesa dei valori incarnati da quella piazza. Ha passato due legislazioni in parlamento nelle file del centrodestra e nel 2010 è diventata Sottosegretario alla salute durante il governo Berlusconi. Ad oggi è candidata alla Camera dei Deputati nelle elezioni del 25 settembre prossimo con Fratelli d’Italia, nel collegio uninominale di Foggia e nei collegi plurinominali in Sicilia e Calabria. Le abbiamo rivolto alcune domande sui temi etici.

In Italia ad oggi c’è un grosso declino demografico, lei ritiene giusto dover tutelare socialmente la maternità e la paternità, proteggendo la vita nascente dalle istanze pro-aborto?

«Guardi la vita nascente si protegge difendendo la maternità, pensi che la comunità umana nasce sulla maternità ancor prima che sulla genitorialità, in quanto prima non esistevano i test del DNA per accertare la paternità e di certo c’era solo la madre, quindi è attorno al materno che si è creata anzitutto la coppia, poi la rete di parentela e infine la comunità, quello che si vuole destrutturare è proprio questo, il discorso antropologico, quindi l’umano. La vita si difende ritornando alla difesa della maternità, le donne oggi non sono più quelle di un tempo, non vogliono solo restare a casa vogliono studiare, lavorare, usare il proprio talento a tutto campo, ecco noi dobbiamo aiutare le donne a fare questo, coniugando il tutto con la maternità, non facendo ricadere il peso della maternità esclusivamente sulle donne ma prendersene carico con una politica che le aiuti a fare le madri, solo così aiuteremo la vita nascente».

L’altro fronte della tutela della vita è quello legato all’eutanasia. Quali sono secondo lei le priorità in tema di cura e rispetto della dignità umana in applicazione delle leggi sulle cure palliative (legge 38/2010) e sull’obiezione di coscienza per i medici e il personale sanitario?

«Le cure palliative sono una questione di civiltà, io tra l’altro sono stata tra i principali promotori della legge sulle cure palliative, quindi le ritengo fondamentali, però allo stesso tempo le dico che questo non significa limitare l’eutanasia, in quanto sono questioni diverse che non accorperei. L’eutanasia è una questione profondamente culturale che vede l’idea che la vita sia a disposizione del singolo e che tutto questo non riguardi la comunità. Vede la maggior parte delle persone che ultimante hanno chiesto l’eutanasia non erano da cure palliative, addirittura c’è chi è voluto andare a morire in Svizzera solo in previsione di un aggravarsi della sua patologia, quindi le cure palliative non c’entrano, quello che noi invece possiamo fare contro l’eutanasia è rimanere aderenti alle indicazioni date dalla Corte Costituzionale, in quanto adesso quelle indicazioni fanno parte del nostro ordinamento giuridico e non possiamo tornare indietro, nonostante il tentativo che si sta facendo sia proprio quello di scavalcarle. Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza non la difendo, in quanto penso che dovremmo fare semplicemente una legge che non obblighi nessuno. Mi spiego meglio, quando ero sottosegretario alla salute nell’ultimo governo di centrodestra dove facemmo la legge sul testamento biologico, legge che poi non andò in porto, semplicemente non c’era nessun obbligo per i medici, che è diverso dall’obiezione di coscienza in quanto se inserisci l’obiezione di coscienza automaticamente crei un obbligo da cui un medico si deve sottrarre in modo canonico, non semplicemente rifiutandosi in scienza e coscienza di partecipare ad un atto medico che non condivide, ma registrandosi come obiettore, io a questo preferisco una legge che non obblighi nessuno a dover rifiutare di fare cose che non condivide».

Cosa dovrebbe fare il nuovo Parlamento e Governo in tema di politiche familiari per favorire la formazione di nuove famiglie fondate sul matrimonio e di pari passo, contrastare tutte quelle istanze contrarie al concetto stesso di famiglia come l’adozione per coppie dello stesso sesso o la pratica dell’utero in affitto?

«Guardi oggi siamo di fronte ad una profonda rivoluzione antropologica, non possiamo non vedere quello che sta cambiando ed è cambiato nel nostro paese, sicuramente su alcune cose a livello legislativo si può fare argine, come sull’utero in affitto o l’adozione per le coppie dello stesso sesso su cui sono contraria, ma bisogna capire che alcune cose sono ormai passate nella percezione delle persone, quindi è lì che dobbiamo intervenire, da un punto di vista culturale prima che legislativo. Ritengo quindi che il compito di chi ad oggi vuole il più possibile conservare e preservare l’umano sia un intervento sul piano culturale, che vuol dire anche politico, ma non sempre legislativo».

Uno dei diritti inviolabili delle famiglie è quello della libertà educativa, lei ritiene giusto contrastare delle forme di strumentalizzazione ideologica nelle scuole, in particolare per quanto riguarda la propaganda gender? E ritiene giusto avere un Ministro dell’Istruzione che si batta contro il gender e la “carriera alias”?

«Guardi io una legislatura fa ho fatto una proposta di legge sul consenso scritto dei genitori in presenza di attività scolastiche extracurriculari che riguardano temi sensibili, ma ad oggi le cose sono molto cambiate, quindi è ovvio che dobbiamo contenere questo tipo di strumentalizzazioni ideologiche, ma dobbiamo avere l’intelligenza di affrontare questi problemi con nuovi strumenti. Per quanto riguarda la carriera alias è praticamente in quasi tutte le università italiane e anche in molti licei, e ad oggi realisticamente parlando, un intervento diretto contro questa pratica risulterebbe molto difficile».

Passiamo alla tutela degli anziani, si è parlato prima di fine vita, diciamo che ci sono alcune istanze eutanasiche che vorrebbero far rientrare in ciò perfino i più anziani perché sono considerati non più produttivi e utili alla società, una vera e propria forma di “cultura dello scarto”. Come vanno, invece tutelati e accompagnati i nostri anziani?

«Io ho visto che già con il covid la questione dell’età è stata un criterio di selezione per alcune dinamiche ospedaliere, ed è stato per me devastante. Sicuramente si può fare tanto investendo nel welfare e nel sociale, ma il problema principale per la tutela degli anziani è la fine della famiglia, nelle regioni del nord ad esempio sotto covid c’è stata una moria nelle RSA, mentre al sud dove ancora gli anziani sono in famiglia se ne sono salvati di più, questo a riprova che la famiglia è la prima vera forma di tutela, quindi penso che si debba ricreare una forma di comunità ridisegnando il welfare in questo senso».

Le faccio l’ultima domanda, tra i drammi che mettono oggi a repentaglio il sano sviluppo dei nostri giovani ci sono le dipendenze. Dall’uso di sostanze stupefacenti fino all’ipersessualizzazione dei minori in rete. Quali sono le politiche da adottare per arginare queste dipendenze comportamentali?

«Quello dell’ipersessualizzazione in rete è un problema enorme che riguarda moltissimo le donne, dove dietro si cela un’idea sui rapporti, sul corpo e sul sesso, in generale falsa, violenta e umiliante, idea che viene spacciata come normale e paradossalmente anche come un fattore di emancipazione, che a volte rovina il sano sviluppo di un normale approccio sentimentale, anche se oggi la parola normale pare non si possa più usare. Detto questo non lo metterei tra le dipendenze in quanto entra in gioco la responsabilità personale, anzi ritengo che oggi si eccede con l’uso della parola dipendenze, quasi a voler medicalizzare tutto delegando tutte le soluzioni allo stato, lo ritengo invece più un fattore educativo dove entra in gioco anche qui la crisi della famiglia. Certamente a livello legislativo si può fare qualcosa, penso chiaramente all’argine ad eventuali leggi che possano illudere i ragazzi sulla droga e la sua pericolosità, però in primis si deve lavorare a livello educativo. Penso all’urgenza di creare luoghi e forme di aggregazione alternativa da dare ai ragazzi, incentivando le attività sane come lo sport, a tal proposito penso alla recente dichiarazione della Meloni sulla valorizzazione dello sport nel contrasto alle devianze, parola per cui è stata attaccata in modo sterile, ecco aldilà delle polemiche quella è la direzione da intraprendere».

 

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